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Ci sono stata ieri sera a vedere il buco, “il vuoto” lasciato da chi nottetempo nella nostra città ha deciso di oltraggiare la memoria di venti vite sterminate nei campi di concentramento, portandosi via le venti pietre d’inciampo di via Madonna dei Monti.

Ci sono stata e – per fortuna – in quella stradina, insieme al vuoto ho trovato anche “un pieno”: una folla silenziosa e composta che accendeva candele, l’indignazione che viaggiava di bocca in bocca in mezzo a poliziotti e fotografi.

In pochi minuti un mondo di racconti.

Di una donna, minuta e disorientata, “è la figlia…” ha mormorato qualcuno. E improvvisamente ci siamo visti catapultati in quel giorno del 1943: ha iniziato a raccontarci della razzia, del nonno, della mamma, del camion dei tedeschi, della sua famiglia che dopo non è esistita più.
Di Adachiara Zevi, sconvolta dal gesto, che ci ha raccontato di quando quell’artista che ha girato il mondo per piantare le pietre d’inciampo in ricordo delle vittime della Shoa le disse: “Non mi era mai capitato di metterne venti tutte insieme. Una famiglia intera sterminata così”.
Il racconto del parroco di Madonna dei Monti, che ieri mattina accoglieva in chiesa le donne del rione che, con la loro semplicità popolana e resistente, andavano a dirgli “ha visto cos’è successo, si sono portati via le pietre”.

Ora gli inquirenti sono al lavoro, si cercano telecamere e testimoni. La consegna ricevuta dai parenti per noi istituzioni è stata una e semplice: ripristinate al più presto le pietre d’inciampo. “Perché il modo migliore per difendere la memoria è continuare a farla vivere”.

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