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22 Set, 2017

La PL contro l’omotransfobia nasce dall’esigenza di rilanciare politiche sociali e dall’impulso del Mieli

Gaynews.it

Non ce la farà, con tutta probabilità (anche se forse sarebbe meglio dire certezza) a concludere positivamente il suo iter la legge nazionale contro l’omotransfobia. Altre priorità, altre urgenze che si è dato a quanto pare questo Governo. La non volontà concreta di riconoscere il bisogno di tutelare diritti negati e persone. In questo scenario, lo scorso giugno, alla Regione Lazio è stata presentata una proposta di legge regionale – quindi con altri ambiti di competenza e di intervento – contro contro atti discriminatori, vessazioni, se non proprio violenze psicologiche e fisiche contro le persone Lgbti.

Tra i depositari di questa proposta di legge c’è anche la consigliera regionale Marta Bonafoni alla quale abbiamo chiesto di fare un po’ il punto della situazione.

Com’è nata questa proposta di legge regionale contro l’omotransfobia?

È nata da una doppia esigenza: da una parte produrre un testo quadro che potesse mettere insieme e rilanciare le politiche che già in questi anni abbiamo messo in campo con grande convinzione in Regione contro l’omotransfobia. Ad esempio la norma sui servizi sociali e approvata due anni fa, in cui tutti i servizi sono destinati a tutte le famiglie senza distinzione tra omogenitoriale o eterosessuale. C’è poi il più grande progetto contro l’omofobia nelle scuole messo in campo già dal primo anno dell’amministrazione Zingaretti o della legge contro il bullismo che richiama esplicitamente l’articolo 21 della Carta europea dei diritti dell’uomo e quindi le discriminazioni per orientamento sessuale o in ultimo i patrocini che non sono mai mancati al Pride come al Gay Village fino a quest’anno con l’inserimento di Roma e del Lazio nel pacchetto turistico nazionale e internazionale come città gay-friendly. L’esigenza è stata dunque quella di fare sistema di queste politiche. Per implementarle ha dato vita a questa proposta di legge quadro.

L’altro impulso ci è stato dato dalla grande spinta del circolo Mario Mieli e delle associazioni in considerazione della spinta culturale che può rappresentare una regione grande come il Lazio. Il tutto per sbloccare una legge nazionale contro l’omotransfobia, ancora in Parlamento e che purtroppo non muove i propri passi.

Quali sono i punti principali della proposta di legge?

La legge parla in egual modo di prevenzione e di contrasto e della presa in carico delle vittime dell’omotransfobia. Quando parliamo di prevenzione parliamo di scuola e formazione e pertanto una grande alleanza tra studenti – famiglie – docenti impegnati in corsi di formazione, progetti di sensibilizzazione, vere campagne contro la discriminazione, sugli stereotipi di genere e l’orientamento sessuale.

C’è poi il welfare e politiche del lavoro, il pari accesso, una modulistica che potrà sembrare banale sul come si viene nominati, ad esempio uomo – donna o cosa, si tace l’orientamento sessuale dal quale dipende anche il riconoscimento del proprio esistere e il diritto a essere ciò che si è. Centri di ascolto per le vittime, sulla falsariga di quello che la Regione sta facendo da anni contro la violenza sulle donne e poi per le politiche attive del lavoro garantire parità di accesso. La legge fa peraltro riferimento anche alla Regione e ai dipendenti regionali, guardando anche in casa propria.

Politiche attive che si concretizzano in una formazione adeguata sulla vigilanza rispetto alla possibilità e opportunità di poter fare carriera per le persone omosessuali, transessuali, di eguale retribuzione rispetto ai loro colleghi eterosessuali. C’è poi anche una parte dedicata alla responsabilità sociale delle imprese e un loro monitoraggio, su quelle laziali. Altrettanto importante è l’ambito socio-sanitario con servizi di integrazione letti e declinati in virtù della lotta all’omotransfobia. Infine il capitolo comunicazione e cultura.

Un articolo è dedicato al Corecom – organismo di controllo sulla comunicazione presente in Regione e prevista in tutte le Regioni – che può promuovere progetti e segnalare le emittenti che si distinguono per una buona informazione o, al contrario, per una cattiva informazione su questi tipo di temi. Quindi direi formazione, informazione sensibilizzazione e la prevenzione.

In cosa consisterebbe la modulistica per l’accesso al lavoro di cui parlava prima?

L’esempio cui ci siamo rifatti è quello di Facebook che al momento consente di segnarsi come “uomo”, “donna” o “altro”. Una questione su cui il Movimento “No Gender” – e che è un altro elemento di allarme che ci ha spinto a depositare questa proposta di legge – sta partendo con una iniziativa dal nome Il bus della libertà dove anche la modulistica sarà oggetto di interesse. Una campagna contro la libertà di orientamento sessuale e di scelta e che individua in questo aspetto dei problemi dal loro punto di vista. Questa estate si sono verificati diversi casi di strutture turistiche che non hanno ricevuto coppie gay e qui si rientra nel campo del monitoraggio che magari consentiranno una premialità alle imprese cosiddette virtuose. Ad esempio la partecipazione o meno a un bando.

Secondo lei questa proposta di legge nel suo iter sarà oggetto di ostruzionismo da parte dell’opposizione?

C’è una certezza, non c’è un timore! Viviamo tempi di regresso, di paura del diverso e invece di impegnarci a valorizzare le differenze e renderle parte comune cisi chiude nelle certezze che vacillano. C’è stato, da questo punto di vista, un discorso di grande schiettezza con il movimento lgbti e reciproca. Si tratta di una legge depositata lo scorso giugno e per la quale si può dire che non vedrà la conclusione del proprio iter in questa legislatura che si concluderà nella prima metà del 2018. La scommessa su cui punteremo da autunno è l’apertura dei tavoli di partecipazione che a partire da questo testo di legge possano rendere la proposta più ricca e completa. Credo che dovrà essere tra i punti prioritari della prossima legislatura, tanto più che con certezza che il Governo non avrà legiferato. Altrettanto certamente troveremo ostacoli molto ideologici, poco informati e diretti da una ben organizzata ideologia “No Gender” che ha i suoi addentellati nelle istituzioni.

In parlamento giace, come detto, la legge nazionale contro l’omotransfobia. Se questa proposta di legge regionale venisse approvata potrebbe rappresentare uno stimolo per l’approvazione di quella nazionale?

Se approvata, noi ovviamente agiteremo la legge regionale. Un tentativo che vogliamo fare da subito, dialogando con il livello nazionale, in particolare con i tavoli di partecipazione di fare sia da pungolo per quella nazionale ma con una nostra legge messa in sicurezza, in quanto si chiedono solo deleghe regionali che evitano l’attesa di una legge nazionale senza la quale quella regionale non può essere operativa. L’approvazione significherebbe ridare forza a un intero movimento che continua a farsi sentire fuori ma che non trova una voce forte all’interno delle aule parlamentari.

Altre regioni vi hanno chiesto informazioni su questa proposta di legge per presentarne una propria?

Non in termini di consiglieri regionali, ma so che altri rappresentanti territoriali del movimento si sono incuriositi e vorranno fare la stessa operazione nelle loro regioni di appartenenza. D’altronde penso che anche questo sarà il valore aggiunto dei tavoli di cui parlavo prima, per aprirsi al confronto anche con altre regioni.

Perché, secondo lei, nel nostro Paese è così difficile approvare una norma che tutela le persone lgbti e punisce invece chi viola i diritti di queste persone soprattutto quando questo ostruzionismo proviene non da aree politiche di centro destra, bensì dalla sinistra stessa?

Questa è la domanda delle domande… Quando sono entrata in politica, non pensavo di incontrare un tale livello di barriera rispetto a certi temi. Da una parte c’è l’egoismo, il nichilismo, cifre del nostro tempo trasversali nel rapporto con tutti i diversi: migranti rifugiati, donne. La fragilità economica del nostro Paese è diventata anche culturale e di tenuta democratica e d’altra parte c’è una politica che ha smesso di avere un ruolo di progresso dell’intera società ponendosi di fatto dall’altra parte della barricata rispetto alla politica degli anni, quella dei diritti conquistati delle donne, del sistema sanitario, di un percorso in salita per i diritti. Oggi quella salita la fanno chi cerca di difendere quei diritti acquisiti e di affermarne di nuovi. Solo con un grande lavoro di rete fra i pezzi di società sia dentro sia fuori dalle istituzioni si potrà avere una chance. Personalmente in questo momento non sono ottimista, trovo che c’è una bella effervescenza ma che dall’altra parte non c’è quel livello di mobilitazione e dialogo con le istituzioni che riesca a fare andare a dama certe battaglie che possono rappresentare una vittoria per tutti, perché è bene ribadirlo non si tolgono diritti ma se ne aggiungono.

21 Set, 2017

Auguri di buon lavoro al nuovo rettore di Roma Tre Pietromarchi

Faccio i miei migliori auguri di buon lavoro a Luca Pietromarchi, eletto oggi nuovo rettore dell’Università Roma Tre.

La sua elezione, al primo turno e con una maggioranza qualificata, è un’ottima notizia per un ateneo forte, di eccellenza, virtuoso nella proposta formativa e nella solidità dei bilanci come quello di via Ostiense.

Sono certa che Pietromarchi saprà dare ulteriore impulso all’intera comunità accademica, quella dei docenti, del personale e naturalmente degli studenti.

Una buona notizia anche per la Regione Lazio, che scommettendo sui giovani, sulla formazione e sui talenti non può che farlo alleandosi con le migliori intelligenze che operano nelle nostre università.

21 Set, 2017

Modernità delle gabbie. Il cuore è uno zingaro

Luigi Manconi, Il Manifesto

«Non sono razzista, ma…». Si tenga conto che oggi l’etichetta «zingaro» (o, più diffusamente, «rom») risulta al primo posto nella classifica della riprovazione sociale. Dal romanticismo magico dell’epopea gitana che sbanca il festival di Sanremo alla consapevolezza di Jannacci e De André

 

Follonica, mattina del 23 febbraio 2017. Nel retro del supermercato Lidl, due donne di etnia rom vengono sorprese da tre dipendenti mentre frugano tra i cartoni da smaltire. La scena successiva: le due donne sono state rinchiuse all’interno di una gabbia che contiene altri cassonetti bianchi pieni di cartoni. Piangono, gridano a voce altissima, sbattono mani e braccia contro l’inferriata, cercando di forzarla. Fuori dalla gabbia, due dei dipendenti ridono rumorosamente e uno, con voce stentorea, si rivolge alle donne. Ripete più volte che non si può entrare nell’angolo dei rifiuti della Lidl: «No, non si può entrare».

A UN TRATTO, l’eccesso di riso lo fa tossire. Un terzo addetto, nel frattempo, registra tutto col telefonino e si arrampica sulla sommità della gabbia per riprendere la scena dall’alto (successivamente due dei dipendenti verranno licenziati dall’azienda tedesca).

 

Non si può escludere che dietro il mancato scandalo per l’«ingabbiamento» di due persone, come è avvenuto a Follonica, vi possa essere un oscuro e temibile retropensiero. Se la gran parte delle persone intervistate nei giorni successivi tenderà a ridimensionare l’episodio, definendolo «una burlonata» attribuita a «ragazzi» (definiti sempre ed esclusivamente con tale termine), forse c’è di che riflettere.

I due tratti che abitualmente vengono attribuiti da una parte rilevante del senso comune a rom e sinti – una certa ferinità e una sostanziale irriducibilità alla vita sociale – possono suggerire come sola forma di disciplinamento la soggezione in cattività. Dunque, l’idea che quel tipo di etnia possa/debba essere «chiusa in gabbia».

Si tenga conto che oggi l’etichetta «zingaro» (o, più diffusamente, «rom») risulta al primo posto nella classifica della riprovazione sociale. A seguire, l’elenco dei «nemici» subisce variazioni continue dovute in genere all’influenza di fatti di cronaca che abbiano avuto una eco particolare e nei primi posti si alternano soggetti nazionali o regionali, destinatari, di volta in volta, dell’ostilità sociale.

Non si dimentichi, infatti, che almeno tre gruppi regionali italiani si sono trovati, nell’ultimo mezzo secolo, a contendersi il primato, o almeno le piazze d’onore, in questa speciale competizione: «i siciliani», «i sardi», «i calabresi». Ma il dato costante è che «gli zingari», persino nei momenti di maggiore successo degli «albanesi» e dei «romeni» (corrispondenti all’incremento dei flussi di queste nazionalità verso l’Italia), hanno sempre saldamente occupato il primo posto nel podio (dell’odio).

EPPURE non è stato sempre così. A partire dalla questione, tutt’altro che insignificante, del nome. Qui si è utilizzato e si continuerà a utilizzare il termine «zingaro» in modo neutrale perché fino a una certa fase l’accezione positiva prevaleva nettamente su quella critica. Oggi le cose sono cambiate. E quel termine «zingaro» viene rifiutato innanzitutto dalle comunità rom e sinti (alle quali vanno aggiunte alcune centinaia di caminanti, presenti prevalentemente nella zona di Noto, in Sicilia) e dalle associazioni che ne tutelano i diritti. Si preferisce, cioè, il ricorso alle parole che segnalano l’origine etnica.

Ma, come si è detto, non è stato sempre così.

QUASI MEZZO SECOLO FA, al festival di Sanremo del 1969, trionfava la canzone Zingara, sontuosamente interpretata da Iva Zanicchi (e da Bobby Solo). Appena due anni dopo Nada e Nicola di Bari portavano al successo Il cuore è uno zingaro. Dunque, il maggiore evento nazional-popolare del nostro paese, dove si riflettono la mentalità condivisa e i mutamenti culturali e del costume, celebra l’epopea gitana.

Già nel 1968, Enzo Jannacci portava al secondo turno di Canzonissima Gli zingari: e cantava di «gente bizzarra, svilita», che un giorno arriva di fronte al mare. E solo «il vecchio, proprio lui, il mare, parlò a quella gente ridotta, sfinita. Parlò ma non disse di stragi, di morti, di incendi, di guerra, d’amore, di bene e di male».

Poi, nel 1971, Mario Barbaja nella ballata Il re e lo zingaro ripropone la figura del gitano come eroe di un irriducibile nomadismo verso la libertà. E nel 1976 Claudio Lolli interpreta Ho visto anche degli zingari felici, in cui i protagonisti giocano un ruolo politico-profetico all’interno di un racconto dallo stile espressivo-visionario. E, ancora, nel 1978, Fabrizio De André canta Sally, Francesco De Gregori Due zingari e Umberto Tozzi Zingaro.

AL PERSONAGGIO del gitano si continuano ad attribuire tratti fiabeschi: lo zingaro sembra capace di raggiungere quelle mete dell’interiorità, della libertà, della consonanza con la natura, il cui senso per le comunità sedentarie e confinate nelle città moderne è smarrito. E c’è un verso, nella canzone di Tozzi, che, letto ora, appare davvero “scandaloso”: «La scuola ti ruba i figli e non sono più tuoi».

SONO PAROLE che oggi nessuno potrebbe permettersi. Frequentare la scuola pubblica è unanimemente considerata la principale, forse l’unica forma di integrazione che possa consentire alle minoranze rom e sinti una convivenza pacifica con gli altri residenti nel territorio e un progressivo accesso al sistema della cittadinanza. E dunque, quella frase – se fosse riproposta ai giorni nostri – suonerebbe come l’affermazione di un relativismo radicale fondato su una sorta di mito del buon selvaggio. Un mito indirizzato contro il progresso e contro le sovrastrutture prodotte dai processi di civilizzazione («la scuola che ruba i figli»). Al di là del fatto che si tratta di un’assoluta scempiaggine, è indubbio che chi oggi ripetesse quell’affermazione, e violasse l’obbligo scolastico per i propri figli, si troverebbe (dovrebbe trovarsi) i carabinieri alla porta.

MA, A PRESCINDERE da questi accenti estremi, ciò che conta è che fino a non molti anni fa, nell’immaginario culturale e sociale del nostro paese, la figura dello zingaro e della zingara abbia conservato quei connotati di romanticismo magico e di vitalismo naturalistico di cui si è detto.

E la parola «zingaro», con questa forza evocativa, sopravviverà a lungo nella musica leggera italiana così come nella letteratura, specie in quella popolare.

 

Non solo. Nel 1995 la Mattel lancerà sul mercato Esmeralda, la bambola zingara della linea di Barbie, parallelamente al successo mondiale del film Disney Il gobbo di Notre Dame.

E in Italia, per anni (dal 1996 fino al 2002), il programma televisivo preserale con i maggiori indici di ascolto vide come protagonista Cloris Brosca nei panni della Zingara, che leggeva le carte e prediceva il futuro.

In tutte queste rappresentazioni, lo zingaro e la zingara trasmettono un’immagine che evoca, per un verso, uno stile di vita fuori da regole e convenzioni sociali e, per un altro, ambientazioni agresti e scenari esotici.

Insomma, lo zingaro è il prototipo di un eroe premoderno e preindustriale, ispirato a valori forti e incontaminati, che rimandano allo spirito di una comunità chiusa, alla contrapposizione natura-cultura e al conflitto perenne tra integrazione e ribellione. E, invece, decenni dopo, le ultime tracce che se ne ritrovano nella musica leggera sembrano registrare un drastico cambiamento di clima e di senso comune.

CHI PERCEPISCE tutto questo e le radici profonde, anche sovranazionali e geopolitiche, che lo determinano è Fabrizio De André che, nella splendida Khorakhané, canta: «I figli cadevano dal calendario/ Jugoslavia Polonia Ungheria/ i soldati prendevano tutti/ e tutti buttavano via». E questo porta a scoprire, in mezzo a noi, che «in un buio di giostre in disuso/ qualche rom si è fermato italiano/ come un rame a imbrunire su un muro». E il paesaggio sociale e urbano ne risulta segnato: «Il cuore rallenta la testa cammina/ in quel pozzo di piscio e cemento/ a quel campo strappato dal vento/ a forza di essere vento».

E così questo ribaltamento dell’antico stereotipo porta all’acutizzarsi del pregiudizio e a una crescente ostilità, cantata dai Punkreas, nel 2000, con questi versi sarcastici: «Chiudete le finestre sbarrate le persiane/ pericolo in città di nuovo queste carovane/ nomadi gitani con abiti sfarzosi/ si nota a prima vista che son pericolosi/ cara io vado dai vicini tu chiudi con la chiave e porta su i bambini/ se fanno i capricciosi e non vogliono dormire/ racconta che gli zingari li vengono a rapire».

COME SI VEDE a questo punto e a questa data, la catastrofe sociale e culturale si è già consumata.

E così nel 2015, un giovane autore, Calcutta, scrive: «Suona una fisarmonica/ fiamme nel campo rom» e nel 2016 un gruppo rock, gli Zen Circus, nel brano Zingara (Il cattivista) dà ironicamente espressione a un diffuso sentimento di intolleranza: «Zingara che cazzo vuoi io so che cosa fai/ stringo il portafogli vai via o chiamo la polizia/ ma quanto puzzerai tu non ti lavi mai/ zingara ci fosse lui vi bruciava tutti sai/ se siete ancora qui è colpa dei buonisti».

Insomma si registra una sorta di aggiornamento, in chiave di cronaca nera e di stigmatizzazione criminale, dell’immagine popolare dello zingaro.

Tratto da un capitolo di «Non sono razzista, ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura», di Luigi Manconi e Federica Resta, Feltrinelli editore

20 Set, 2017

Con la “Banca delle terra” nuove opportunità per i giovani

Ieri la Giunta regionale del Lazio ha approvato l’elenco della “Banca della terra” che mette a disposizione terreni agricoli o a vocazione agricola di proprietà della Regione – attraverso l’affitto e la valorizzazione del patrimonio immobiliare agricolo – per favorire lo sviluppo dell’agricoltura anche attraverso la crescita delle imprese e dell’occupazione giovanile. Si tratta di un provvedimento importante, che muove nella stessa direzione di una nostra proposta di legge, recepita poi con un nostro emendamento dall’articolo 18 del collegato al bilancio approvato ad agosto 2016.

La “Banca delle terra” può rappresentare così uno strumento fondamentale per rispondere alla richiesta di terre, incentivare l’accesso dei giovani all’agricoltura e riportare all’agricoltura le aree incolte contrastando l’abbandono e il consumo dei suoli agricoli.

Siamo di fronte a una sfida importante, che va verso un nuovo modello di sviluppo, legato al welfare e all’equità sociale, e al coraggio di investire sul futuro del nostro territorio. Ma è anche il segno di come vogliamo far crescere la Regione, valorizzando le sue peculiarità e le sue risorse più belle.

20 Set, 2017

“Le Funambole” si presenta

Sabato 21 ottobre 2017, ore 19
Lucha y Siesta
Via Lucio Sestio, 10 – Roma

L’Associazione Socio Culturale LE Funambolu si presenta sulla scena romana con una festa ospitata dalla Casa delle Donne Lucha y Siesta.

Cibo goloso e il primo giro offerto da noi dalle 19.00 alle 20.30
Dj-set a cura di La Reina del Fomento e Franiko Calavera dalle 19
Incursioni funamboliche dalle 21

Siamo 21 socie fondatrici con idee e progetti in tre aree: arte e spettacolo, educazione, benessere e psicologia, tutte unite da una profonda ottica di genere aperta a tutte le donne e gli uomini che vogliono lavorare per un cambiamento sostanziale della nostra società!

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19 Set, 2017

Violenza sulle donne: non servono leggi speciali ma cultura e prevenzione

Non servono leggi speciali, ma cultura e prevenzione. Dopo l’ultimo episodio di violenza sessuale avvenuto a villa Borghese, è sull’aspetto cultura legato alla violenza di genere che dobbiamo continuare a lavorare. Un aspetto che la Regione Lazio ha sempre tenuto in considerazione a partire dalla legge del 2014, che ha iniziato il suo iter non a caso in Commissione cultura, e poi attraverso bandi e campagne volte a invertire il piano culturale che sottende alla violenza.

Oggi, come annunciato durante la conferenza stampa straordinaria del presidente Zingaretti per illustrare le misure messe in campo per contrastare la violenza contro le donne, è stato fatto un ulteriore passo avanti. E’ partito così l’appello alle scuole del Lazio e di Roma affinché lunedì 25 settembre ci sia, con i professori e con gli studenti, una giornata di riflessione per produrre disegni, testi o iniziative che verranno raccolti sul sito della Regione Lazio e saranno poi presentati il 25 novembre, Giornata nazionale contro la violenza sulle donne.

Una mobilitazione collettiva e culturale che chiama in causa tutti e che fa il paio con le dieci misure messe in campo dalla Regione per contrastare la violenza per un investimento totale di circa 8 milioni di euro. Nessuna legge speciale, dunque, ma prevenzione e presa in carico come presupposti da cui partire per combattere una violenza le cui radici sono strettamente culturali.

19 Set, 2017

Il Pd rischia di perdersi e la sinistra è all’angolo. Ripartiamo dallo Ius soli

Giuliano Pisapia, La Repubblica

Caro Direttore, non è una piccola cosa: l’approvazione dello Ius soli sarebbe un atto di civiltà contro la resa allo spirito dei tempi. Una risposta non rassegnata al disorientamento e alla paura. La prova che siamo capaci di riprendere quell’egemonia culturale che la sinistra, l’associazionismo laico e cattolico, il civismo e la tradizione liberale, sembrano aver smarrito. Per questo lo Ius soli è una grande cose. Per questo è da qui che vogliamo ripartire.

18 Set, 2017

Con bando Torno subito un nuovo anno di opportunità

Prosegue, per il quarto anno consecutivo, l’impegno della Regione Lazio nei confronti delle nuove generazioni. Un impegno mantenuto grazie alla nuova edizione di ‘Torno subito’, il bando dell’assessorato Diritto allo Studio, Formazione e Ricerca rivolto ai giovani dai dai 18 ai 35 anni che finanzia percorsi integrati di formazione e di esperienze lavorative nazionali e internazionali.

Si tratta di un un percorso virtuoso, un punto fermo che però è stato in grado di migliorare e rinnovarsi ogni anno, che questa volta vedrà finanziati 2000 progetti, per un totale di 27 milioni di euro investiti nel 2017.

2000 ragazzi pronti a partire, che si andranno ad aggiungere ai circa 4000 partecipanti delle edizioni 2014, 2015 e 2016, per un totale di quasi 6000 progetti finanziati.

Numeri importanti, dunque, che finora hanno previsto uno stanziamento di circa 80 milioni di euro delle risorse del Fondo Sociale Europeo e hanno consentito al 30% dei partecipanti alle prime due edizioni di trasformare la loro esperienza in un impegno lavorativo. Cifre destinate a crescere entro il 2018 che porteranno, a fine legislatura, a oltre 8000 progetti finanziati per un investimento complessivo di circa 100 milioni di euro.

E’ questa la migliore risposta alla fuga dei cervelli nel nostro Paese, al blocco dell’ascensore sociale e all’impoverimento delle comunità sociali ed economiche. Si tratta di un modello virtuoso, che una politica utile ed efficace deve saper sostenere e moltiplicare.

Un investimento concreto in economia, conoscenza e formazione, per dare opportunità vere a migliaia di ragazzi e ragazze che altrimenti non avrebbero il modo di realizzare i propri sogni e mettere a frutto le loro competenze. E’ questo il sistema migliore per rispondere alla crisi e per lavorare a un’idea di Europa inclusiva e aperta, in grado di offrire alle nuove generazioni diverse opportunità.