Io ho conosciuto Chiara, per questo quella sentenza mi fa male
Nel marzo scorso ho conosciuto Chiara Monda nella sua stanza d’ospedale.
Tornata a casa ho scritto una cosa, che volevo tenere per me. Senza darle risalto, senza “pubblicità.
La sentenza dell’altro giorno, lo sconto di pena per il suo ex che l’ha massacrata di botte, mi ha indotto a ripensarci. Così ho chiesto il permesso ai suoi parenti, e qui di seguito pubblico la cronaca di quel pomeriggio così intenso.
Perché dopo la sentenza, c’è bisogno di pensare e ancora pensare e pensare ancora.
Il mio dunque vuole essere un contributo. Leggete vi prego fino in fondo.
17 MARZO 2015 – CHIARA
Oggi ho conosciuto Chiara.
Dopo aver tanto letto di lei, dopo averla avuta compagna di viaggio durante l’approvazione della legge contro la violenza sulle donne, oggi sono andata a trovarla nella sua stanza d’ospedale.
Chiara da poco prima dello scorso Natale è ricoverata al Santa Lucia, sull’Ardeatina.
Condivide la sua stanza con una signora, ma le sue compagne di camera in questi tre mesi sono cambiate spesso.
C’è una bella luce in clinica, spazi larghi e nuovi, tanto dolore silenzioso e dignitoso.
Definitivo nel suo essere composto.
Sul lato del letto di Chiara attaccate al muro ci sono tante foto: la Lazio, il suo cane Molly, sua cugina.
E poi Chiara. Chiara sola e Chiara che accarezza Molly.
Lei è su una grossa sedia a rotelle.
La prima cosa che penso quando la vedo e’ che mai l’avrei riconosciuta solo dalle foto apparse sui giornali nei giorni del fatto.
E’ tutta diversa.
Taglio colore e credo anche consistenza dei suoi capelli: prima biondi, lunghi, sembrano morbidi nello scatto che ha fatto il giro delle tv. Ora castani, corti, paiono duri.
Gli occhi che erano luminosi e felici ora sembrano spenti. Occhi di bambola. Senza nessuna voluttà.
Occhi stanchi oggi, perché Chiara ha riposato poco e in palestra l’hanno fatta lavorare molto. Ha fatto su e giù col braccio diverse volte.
Per noi sarebbe una sciocchezza, ma Chiara è completamente ferma da un anno.
Chiara è stata in coma. Chiara e’ morta anzi lui l’ha uccisa due volte, mi dice la zia Antonella. Quando l’ha ridotta così, prima strangolata, poi sbattuta con la testa al muro, poi infierito sul suo capo a colpi di calci dati con pesanti scarpe da lavoro.
E poi quando le ha lasciato una coscienza.
Chiara capisce tutto. In questi giorni si festeggia il fatto che stimolata dai medici alla richiesta prendi la penna blu ha piano piano allungato il braccio e afferrato la penna blu. Stessa scena si è ripetuta con la penna rossa. Invece quando i dottori le hanno detto prendi la penna gialla Chiara li ha guardati come a dire: ma che mi prendete in giro? La penna gialla infatti non c’era.
Piange Chiara. Ma non col suono, o con il movimento del petto e delle spalle.
A Chiara scendono lacrime silenziose e lente. Come quel giorno che ha sentito la voce della nonna al telefono.
Davanti a me il papà, Maurizio, la esorta con successo a stringere il suo peluche (Molly anche lui), che tiene sulle gambe, insieme a una marea di altre cose: un cuscino, un telo per non sentire freddo, i tubi dei vari sondini. Ne ha uno per mangiare, uno per respirare, intuisco gli altri. Le sue dita sono minuscole, molto più piccole di quel corpo gonfio per la sofferenza inerte della sua quasi morte. Sulle unghie smalto celeste.
Sul viso ha delle bollicine rosse. E quello che sembra un leggero graffio che manda in apprensione Maurizio, che sapendo già di non ottenere risposta le chiede: Chiara che hai fatto qui?
E’ vestita con una tuta blu ma c’è anche del viola: tutto è ordinato e coordinato in lei, si vede che qualcuno la cura. Papà Maurizio va la’ tutti i giorni, ha gli occhi larghi e lucidi, anzi larghi e opachi. Gli occhi di chi non dorme da secoli.
Mi racconta la sorella Antonella che a volte si addormenta in stanza da Chiara e siccome alle dieci la clinica chiude deve scavalcare il cancello.
Anche la mamma è accanto a Chiara. Sembra vivere in un mondo tutto suo.
Mentre guardo Chiara che, se potesse e ci riuscisse sbadiglierebbe per quanto è stanca, e chiude gli occhi e li riapre come fanno i bambini sul seggiolino della macchina mentre si viaggia, mi accorgo che sul braccio sinistro, nella parte interna, ha un tatuaggio. La lettera Emme.
Non la Emme di Molly, ne’ di mamma. Non la Emme di Maurizio il papà.
Emme come l’altro Maurizio. Lui.
Che ci ha messo nove ore per iniziare e finire di ammazzarla quel giorno. Quando ha scoperto che si scambiava dei messaggi con un suo amico.
Che poi già più di una volta era stato denunciato dal papà di Chiara perché la maltrattava. Ma Chiara era maggiorenne (ha compiuto vent’anni il 30 dicembre scorso) dicevano che era lei a decidere. E nessuno ha dato peso a quel suo piccolo ritardo che la seguiva dalla nascita.
Dicono i medici che Chiara non ricorda il momento della sua morte. Quelli come lei rimuovono il trauma.
Però Antonella è convinta che quell’atteggiamento con la mano, che spesso è messa tesa e dritta come a parare un colpo, sia perché lei ancora tenta di difendersi.
Quel giorno non ce l’ha fatta. Ha fatto un solo squillo sul telefono del padre prima di morire Chiara. Dice proprio così Antonella, prima di morire Chiara.
Non tornerà più quella di prima, questo si sa. Magari tornerà a parlare, sarebbe un miracolo. Ma non camminerà più. A casa ci saranno da fare i lavori per adeguare gli ambienti alle nuove necessità della famiglia. E poi bisognerà avere due infermieri a darsi il cambio. E chi pagherà tutto questo?
A quello hanno dato 20 anni di carcere, con l’aggravante per la “crudeltà” con cui ha infierito su di lei. Ma risulta nullatenente quindi zero euro di risarcimento.
Il dopo è per Maurizio un incubo peggio dell’oggi, al punto che arriva a desiderare ancora adesso – con pudore e mezze parole – che le cose fossero andate diversamente da così. Che Chiara se ne fosse andata e basta.
Chiedo al papà il permesso di farle una carezza prima di andare. Con il dorso della mia mano destra le sfioro due volte il suo braccio destro. Ha la pelle liscissima. E bianca come il latte.
Ecco da cosa la riconoscerei vedendo la foto, penso.
Quel pallore della pelle era già il suo, non è cambiato.
Quella pelle bianca è Chiara.
Apre gli occhi quando sente il mio tocco.
Mi sembra che mi guardi come a dire chi sei non ti conosco.
Ma è più curiosa che infastidita.
Almeno così voglio pensare.
Piacere Chiara.
Conoscerti è stato forte.