Marta Bonafoni

La Resistenza oggi marcia a piedi scalzi

E’ in questi giorni di settembre che, settantadue anni fa, comincia la guerra di Liberazione. Con la firma dell’armistizio, la gente è confusa, stordita ma intanto, impetuosa, cresce la rivolta di popolo contro l’esercito nazista. Nei ricordi ancora vivi (a saperli cercare) di quei giorni, si affacciano storie straordinarie ma in apparenza poco rilevanti, quelle del fornaio, del contadino, della suora coraggiosa. Sono le storie delle persone comuni, quelle che cambiano il mondo davvero, in profondità. C’è una relazione impressionante, a quella scala “minore”, a quelle grandi profondità delle viscere di una società, con le storie e le immagini dei migranti e dei rifugiati che oggi fuggono dalla fame e dalla guerra. Sono persone alla ricerca, spesso disperata, di un’esistenza da vivere con libertà e dignità. Oggi come settantadue anni fa. Per molti, essenziali aspetti, la Resistenza non è finita, la lotta per la Liberazione neppure, si è semplicemente arricchita di nuove lingue e nuovi colori. Un tempo aveva le scarpe rotte, oggi se le è tolte e marcia scalza.

 

Veniamo da giornate in cui in centinaia di piazze e strade d’Italia si è celebrato il settantaduesimo anniversario dalla firma dell’armistizio. E l’inizio della guerra di Liberazione.

Mi è capitato, come rappresentante istituzionale, o semplicemente da militante antifascista, di frequentare alcune di queste piazze, a Roma o in qualche cittadina della Provincia. E voglio raccontarvi cosa – tra l’altro – ho visto e sentito.

Storie innanzitutto di una rivolta di popolo, che accompagnò le ore immediatamente successive l’annuncio del generale Badoglio, la firma dell’8 settembre, radiodiffuso alle 19.45 della sera tanto nelle mense delle caserme quanto nei bar di paese. Storie poi di soldati e popolani che insieme, alla rinfusa, con pochissimi mezzi e tantissima fame si organizzano velocemente per reagire all’oppressore, l’esercito nazista aiutato dai fascisti che aderiscono alla RSI. Cominciano le prime battaglie, le azioni di guerriglia, i primi caduti della Resistenza.

Storie di comandi confusi, lo stordimento di chi si ritrova dalla sera alla mattina ad avere nemico chi prima era un alleato, e nemici ora diventati a loro volta gli alleati. Storie anche piccolissime: c’è il fornaio, il contadino, i bambini, quel ragazzo, i ferrovieri, l’impiegato della posta, la suora coraggiosa, il prete disobbediente, tantissime donne. Tutti uniti a combattere contro l’invasore.

Bene, nelle piazze di questo ultimo 8 settembre mi è capitato di vedere le foto e sentire le storie di questi uomini e donne, accanto alle foto e alle storie dei rifugiati. Sì, le foto dei migranti che in queste settimane sono entrati nelle case degli italiani attraverso la televisione e hanno invaso le nostre coscienze. Alcuni ammassati in convogli piombati, tragiche e precise rievocazioni anche quelle.

Quel tessuto civile e democratico, nato dalla Resistenza e scritto nella nostra Costituzione, vive, deve vivere, oggi. Anche gli uomini e le donne che sbarcano ora sulle nostre coste o risalgono i binari ferroviari fin nel cuore dell’Europa ripudiano la guerra, scappano dall’oppressore. Ancora di più: hanno ingaggiato una battaglia enorme per la libertà e la dignità. Quella battaglia è anche la nostra, banalmente anche solo perché il mondo è uno solo, non esiste il “loro” mondo e il “nostro”.

Oggi più che mai, allora, la memoria degli anni che furono deve essere viva, presente, utile ai giorni che affrontiamo e non solo a guardarci alle spalle. Radici che devono finalmente poter far nascere un albero migliore, più giusto, con frutti forti che abbiano un sapore buono per i molti e non solo per i pochi.

La Resistenza non è finita, la lotta per la Liberazione neppure, si è semplicemente arricchita di nuove lingue e nuovi colori. Sta a tutte e a tutti noi declinarla in questi tempi, che sono fragili e incattiviti, ma hanno molte luci che resistono. In mezzo alle ombre.

Buona marcia scalza.

Comune-info

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