Marta Bonafoni

Sfruttati a tempo indeterminato

In Europa e non solo, indipendentemente dalla crisi, spesso assunta a paravento per politiche discriminatorie, una parte non residuale della produzione, soprattutto agricola, è retta da schiavi al servizio di padroni. Sembra un’affermazione ideologica. Il senso di quanto affermato merita invece un approfondimento.

L’occasione è data dalla presentazione dell’ultimo dossier dell’associazione In Migrazione Onlus dal titolo emblematico: Sfruttati a tempo indeterminato. Sono raccolte le storie di alcuni braccianti indiani, soprattutto sikh, impiegati in provincia di Latina, che raccontano di violenze subite, sfruttamento, subordinazione, caporalato. Condizioni che non sono da considerare marginali o eccezionali nel sistema di produzione capitalistico mondiale, ma strutturali.

Questa tesi non è improvvisata. Una recente pubblicazione dal titolo Quasi schiavi, edita da Maggioli, a cura di Enzo Nocifora e con contributi di importanti sociologi, spiega bene la strutturazione nel sistema di produzione capitalistico del lavoro schiavistico. In Migrazione racconta come e perché ci si trovi di fronte a un sistema rodato di illeciti fondati su arruolamenti via cellulare, buste paga irregolari, ricatti e intimidazioni che svelano il vero business del settore.

L’evasione fiscale e contributiva fa da cornice a una zona grigia che nasconde milioni di euro sottratti indebitamente allo Stato e soprattutto ai lavoratori indiani. Questo sistema non si reggerebbe senza la complicità dei colletti bianchi dello sfruttamento. Commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, ragionieri che consentono allo sfruttamento di strutturarsi e di insediarsi tra le pieghe del sistema ufficiale e di fatturare milioni di euro.

Le storie dei braccianti sikh raccolte nel dossier raccontano la realtà di un paese ancora fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, quest’ultimo spesso immigrato e costretto a lavorare 14 ore al giorno, tutti i giorni, per 300/400 euro al mese. Datori di lavoro che pretendono di essere chiamati padrone, violenze e mortificazioni che rappresentano il volto più truce di un’Italia razzista, violenta e mafiosa. Si fanno chiamare padroni, ma sono dei miserabili. D’altro canto la recente alleanza Lega Nord-Casapound va esattamente in questa direzione.

L’alleanza tra il padronato razzista del nord e movimenti neofascisti cammina sulle gambe grasse di un’Italia volgare, pericolosa, xenofoba. È forse la palingenesi del nuovo secolo o forse l’anticipazione dell’Italia renziana, con operai e braccianti senza diritti, padroni arroganti che minacciano ritorsioni ad ogni rivendicazione, burocrati e professionisti complici per interesse. I dati riportati dal dossier di In Migrazione sono inquietanti.

Salari bassissimi (in media 3,00€/h a fronte degli 8,26 del contratto nazionale), orari improponibili (12/14 ore di media a fronte delle 6,40 ore del contratto nazionale) e spesso condizioni abitative inadeguate caratterizzano un contesto che favorisce il radicamento della criminalità organizzata nel settore agricolo.

Al contrario di tante realtà nazionali di sfruttamento della manodopera, che si configura con arruolamenti giornalieri a chiamata dei lavoratori, in molte realtà agricole del pontino si è davanti ad un impiego costante per periodi lunghi di un esercito fidelizzato di braccianti che garantisce un settore “grigio” di illegalità nel quale si muovono con destrezza alcuni imprenditori e i loro consulenti. Una sorta di lavoro garantito tradotto in “contratti a sfruttamento indeterminato”.

L’agricoltura rappresenta un comparto strategico per l’economia laziale, che senza il contributo dei lavoratori migranti sarebbe inesorabilmente in crisi con conseguenze economiche, lavorative e sociali gravissime. I braccianti indiani contribuiscono alla crescita e allo sviluppo economico e sociale della provincia di Latina. Nel territorio pontino, i registri anagrafici dell’Inps, anno 2012, registravano una presenza di 16.827 braccianti iscritti. La Cgil per l’anno precedente (2011) ha conteggiato 25.000 richieste presentate alla Prefettura di Latina, a fronte dei 6500 posti stabiliti dal decreto flussi per quel territorio, quattro volte la necessità dichiarata.

Una manodopera imponente, soprattutto migrante come conferma anche la Cgil, che si colloca in un territorio vastissimo (con 9500 aziende registrate alla Camera di Commercio di Latina al 31.12.2013). La pratica illegale del reclutamento, del caporalato e dello sfruttamento dei braccianti, secondo In Migrazione, è determinata da un sistema illegale diffuso territorialmente eppure gestito da gruppi ristretti di truffatori, mafiosi, sfruttatori.

Arrendersi sarebbe un errore. La Commissione antimafia ha ascoltato sia In Migrazione che la Flai Cgil mentre l’On. Mattiello ha proposto la riconduzione del reato di caporalato nell’art. 416 bis, ossia nell’associazione di stampo mafioso. Intanto In Migrazione, insieme alla Regione Lazio, in particolare assessorato all’agricoltura, Arsial e Tavolo della legalità e sicurezza, darà vita al progetto Bella Farnia, dal nome del residence dove risiede la maggior parte della comunità indiana di Sabaudia.

Il progetto, con il contributo della Flai-Cgil, prevede la realizzazione del primo centro polifunzionale con attività di mediazione culturale, insegnamento dell’italiano, assistenza legale e orientamento al lavoro. Un progetto concreto che vuole rompere isolamento, sfruttamento, segregazione.

Un’iniziativa coraggiosa, in un territorio difficile, dove insieme alle meravigliose bellezze naturalistiche dell’area persistono realtà feudali, caporalato, clan appartenenti a varie organizzazioni mafiosi e la tentazione costante di negare problemi sociali e sistemi criminali, pensando che le cose non potranno mai cambiare. In Migrazione vuole invece dimostrare il contrario.

Marco Omizzolo e Roberto Lessio, Zeroviolenza

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