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Nelle ore in cui di fronte a un nuovo femminicidio si moltiplicano le dichiarazioni che invocano eserciti, ruspe, pugni di ferro o addirittura “rastrellamenti”, in pochi si stanno soffermando – con pudore e in silenzio – a considerare la storia della vita della giovane Desiree, e ancor più della sua tragica morte.

Una vicenda familiare complessa: un padre allontanato da casa per stalking e violenza, una madre sola, l’uso di sostanze. E poi quella notte a San Lorenzo, un quartiere da tempo – con la voce della parte sana e viva delle realtà sociali e culturali che lo abitano – chiede un’attenzione delle istituzioni nazionali e cittadine per un quartiere sempre più in mano alla criminalità organizzata, con le piazze dello spaccio a cielo aperto, e la “movida” a coprire tutto con luci finte e artificiali.

Non è con le ruspe che si risolverà una situazione così profondamente compromessa, ma puntando al coinvolgimento delle comunità solidali (a partire dal movimento delle donne), ai progetti sociali, a cominciare da quei progetti sulle dipendenze bloccati da due anni da Roma Capitale, coi soldi della Regione chiusi nei cassetti del Campidoglio, inutilizzati.

La migliore risposta dopo la morte tragica di Desiree e di fronte al dolore della sua mamma, dovrebbe essere nella cura e nella responsabilità delle istituzioni tutte.
Purtroppo, dall’orrore che sta andando in scena in queste ore, capiamo che è un altro l’epilogo che si vuole scrivere.

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