Marta Bonafoni

Ricollocamenti, il flop dell’Ue che rafforza i populisti

Carlo Lania, Il Manifesto

La coincidenza dei tempi non avrebbe potuto essere peggiore. Oggi scadono infatti i termini fissati due anni fa dalla Commissione europea per il programma di ricollocamento dei richiedenti asilo da Italia e Grecia e la data ha finito col sovrapporsi ai risultati delle elezioni in Germania che hanno visto una forte affermazione dell’estrema destra. Risultati che adesso non fanno sperare in niente di buono per quanto riguarda le politiche sull’immigrazione che Bruxelles potrebbe adottare a partire da domani. Ma andiamo con ordine.

Se non proprio annunciato, quello delle relocation era un fallimento abbastanza prevedibile visto l’atteggiamento riluttante, quando non proprio ostile, con cui gli Stati europei hanno dato seguito alla proposta fatta nel 2015 dal presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker di dividersi 160 mila profughi (soprattutto eritrei e iracheni) provenienti dai due Paesi che sopportano da sempre il peso della crisi dei migranti. In 24 mesi i rifugiati effettivamente trasferiti sono stati però appena 27.695, contro i 6.000 al mese ottimisticamente preventivati da Juncker. Di coloro che hanno trovato accoglienza, appena 8.451 provengono dall’Italia, contro i 34.953 posti disponibili. Altri 3.443 potrebbero aggiungersi nei prossimi giorni. Stando ai dati del Viminale sono infatti 1.256 le richieste di trasferimento già approvate, 992 quelle in attesa del via libera da parte dello Stato di accoglienza e 1.195 le domande istruite e per le quali deve essere ancora individuato un Paese destinatario.

Per correre ai ripari questa mattina a Bruxelles il commissario Ue all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos chiederà agli Stati membri una proroga del programma, proponendo di proseguire con i ricollocamenti fino a quando non sarà varata la riforma di Dublino. E qui l’amarezza per l’insuccesso del programma rischia di trasformarsi in beffa. Insieme all’Italia a spingere di più per cambiare il regolamento che assegna al Paese di primo ingresso la presa in carico del migrante sono stati finora Francia e Germania. La cancelliera Angela Merkel ha però sempre rinviato ogni discussione a dopo le elezioni tedesche. Ora che le urne hanno parlato, le sue prime dichiarazioni sembrano frenare ogni voglia di mettere mano a Dublino. «Dobbiamo capire le paure degli elettori dell’AfD e riconquistarli», ha spiegato dopo il voto.

Il successo del partito di estrema destra tedesco rafforza la posizione di quanti sono contrari all’accoglienza e frenano anche per riformare Dublino. A partire da Ungheria, Repubblica ceca, Polonia e Slovacchia, con i primi tre paesi già nel mirino della commissione Ue, ma anche l’Austria, chiamata anch’essa al voto tra meno di un mese. I sondaggi danno in testa Sebastian Kurz, 31enne ministro degli Esteri e leader dei popolari, uno che vorrebbe confinare i migranti a Lampedusa e non perde mai occasione per minacciare la chiusura del Brennero.

A questo punto la cosa più probabile è che prima di Dublino Bruxelles decida di ritoccare il Trattato di Schengen. A spingere in questa direzione sono Francia e germania ma anche Austria, Norvegia e Danimarca, tutti Paesi che in un documento comune presentato all’ultimo vertice dei ministri degli Interni Ue hanno già chiesto di semplificare le norme che autorizzano il ripristino dei controlli alle frontiere interne prolungandone la durata massina fino a due anni (e non più sei mesi rinnovabili per un massimo di tre volte come accade oggi).

Una richiesta giustificata per motivi di sicurezza legati l pericolo di possibili attacchi terroristici, ma dietro i quali si intuisce anche la volontà di un ulteriore giro di vite nei confronti dei migranti. Lo stesso Avramopoulos non esclude che si possa andare in questa direzione, al punto di aver già annunciato di voler presentare le modifiche entro la fine di settembre. Avramopoulos andrà però incontro anche a un’altra richiesta avanzata da berlino e Parigi, quella di accelerare sui rimpatri degli irregolari. «Dal momento che solo il 36% dei migranti che non ha diritto a restare in Ue viene rimpatriato – ha spiegato il commissario – è chiaro che tutti gli attori devono aumentare il proprio lavoro in modo significativo»

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