“Così i curdi siriani hanno abbandonato Marx per mio padre”
Claudio Gallo, La Stampa
La figlia del filosofo americano Murray Bookchin “Niente lotta di classe, tutto il potere alle assemblee locali. A Kobane si sperimenta la vera democrazia”
Debbie non è solo la figlia di Murray Bookchin, il teorico del comunalismo. Scrittrice e giornalista, ha pubblicato un libro scottante sul vaccino anti-polio americano infettato da un virus potenzialmente cancerogeno, tra gli Anni 60 e 80. Ma, certo, è anche la figlia di suo padre, appassionata curatrice dell’eredità intellettuale del filosofo, figlio di ebrei russi emigrati in America.
Dal leader del Pkk Abdullah Öcalan ai curdi di Kobane, tutti hanno abbandonato Marx per suo padre: che cos’è il comunalismo?
«Il comunalismo è l’idea che la democrazia funzioni meglio quando i cittadini decidono insieme in assemblee locali. Si guardano in faccia e discutono di argomenti importanti per la comunità, inviano delegati revocabili ai consigli regionali. Il potere resta a livello locale e non è mai trasferito allo Stato-nazione. Mio padre vedeva nelle assemblee la possibilità di formare un senso di cittadinanza sempre più illuminato. La gente dovrebbe reclamare la politica come qualcosa che si pratica invece di votare per qualcuno e sperare in bene. Il comunalismo comprende ciò che mio padre chiamava una “economia morale”, in cui la gente decide insieme sull’uso delle risorse naturali per la produzione economica, avendo in mente l’impatto ambientale».
Una visione senza denaro né mercato: com’è possibile?
«Oggi diamo il capitalismo per scontato, ma non è un comandamento di Dio. Nella maggior parte della storia le società hanno funzionato senza. Come mio padre ha sottolineato per la prima volta negli Anni 60, la rotta di collisione del capitalismo con la natura minaccia la sopravvivenza della nostra specie. La sua logica “cresci o muori” impone un incessante sfruttamento delle risorse naturali. La crescita rapace e l’individualismo, a cui ha dato vita, hanno portato al riscaldamento globale che rischia di rendere il pianeta inabitabile per i nostri nipoti. Per ciò che riguarda il denaro, ci sono molti esempi nella storia di persone che hanno lavorato insieme per il bene della società senza doverlo usare: dalle società primitive ai grandi kibbutz israeliani. Il comunalismo crede che, in una società libera, ognuno contribuisca al benessere della società con le sue differenti abilità, interessi e desideri».
Com’è arrivato il comunalismo tra i curdi?
«Quando Abdullah Öcalan fu condannato all’ergastolo, l’avvocato gli portò in prigione molti libri, tra cui alcuni di mio padre tradotti in turco, come L’ecologia della libertà e From Urbanization to Cities (Dall’urbanizzazione alle città). Öcalan era diventato scettico sul marxismo-leninismo che aveva portato a trent’anni di guerra con lo stato turco. Così si convinse che, abbracciando le idee di mio padre, i curdi avrebbero potuto raggiungere l’autogoverno e una vera democrazia, anche dentro ai confini turchi. Con il concetto di confederalismo democratico, Öcalan ha incorporato il pensiero di mio padre, ma poi ha aggiunto idee originali, specialmente l’enfasi sul ruolo delle donne».
Cosa rimproverava suo padre a Marx?
«Mio padre aveva un enorme rispetto per Marx, ma per lui il marxismo contemporaneo viveva nel passato. La “analisi di classe” e le tattiche impiegate dai rivoluzionari negli Anni 30 andavano superate. Bisognava capire perché i lavoratori non avevano fatto la rivoluzione. Respingeva la visione del proletariato come “classe egemonica”. Per lui il cambiamento sociale poteva avvenire soltanto appellandosi alla gente, ai cittadini in quanto parte di comunità che non cercano solo l’eguaglianza economica ma anche aria e acqua pulite, cibo sano, e la fine di tutte le forme di gerarchia e oppressione: razza, etnia, genere… Aveva visto che in Europa Orientale il socialismo non aveva portato la libertà. Credeva che il potere dovesse essere decentralizzato e portato a livello municipale, non consegnato a un partito centralizzato».
Perché i curdi sarebbero così importanti?
«Nel Rojava (l’area curda della Siria ndr) è stata creata una società dove le donne e gli uomini di qualsiasi etnia o religione lavorano insieme per tracciare il futuro delle comunità. La pianificazione economica è attenta all’ecologia, si pratica la forma più democratica di governo esistente, pur in condizioni di guerra. Un esempio affascinante».
Nel 2015, i curdi siriani sono stati accusati da Amnesty si aver demolito le case degli arabi..
«Seguire i progressi del progetto sociale nel Rojava è entusiasmante, tuttavia in condizioni di guerra si compiono errori, che vanno riconosciuti e corretti. Le prove raccolte sollevarono però alcuni dubbi, tra cui la veracità di certe interviste e alcuni aneddoti che non furono confermati. Molti pensano che quei fatti indeboliscano la credibilità del rapporto».
Curdi comunalisti e Washington insieme contro l’Isis: non è una strana alleanza?
«Dovrebbe essere una coalizione naturale, visto che gli Usa e la Ue si presentano come campioni della democrazia. L’Occidente riconosce che i curdi sono i suoi migliori alleati contro l’Isis, teme però che la Turchia spalanchi le porte agli emigranti verso l’Europa. Così si è piegato ai turchi e ha escluso i rappresentanti del Rajava dai colloqui di Ginevra sul futuro della Siria. Hanno chiuso un occhio sul sostegno di Ankara all’Isis e sui bombardamenti turchi delle città curde del Sud-Est, dove, con la pretesa di cercare i terroristi del Pkk, i militari hanno ucciso centinaia di civili innocenti, compresi bambini. Se credessero davvero alla democrazia, americani ed europei dovrebbero invitare i rappresentanti del Rojava a Ginevra e incoraggiare l’espansione del suo modello in Siria. Sarebbe un modo per favorire una soluzione pacifica e democratica che permetta alla gente di rimanere a casa invece di dover fuggire».
Un Rojava autonomo dovrà fare i conti con la Turchia: ci sarà una nuova guerra?
«Sono una giornalista, non un’analista mediorientale, non so predire se ci sarà una guerra. La mia impressione è che la gente abbia ragione a temere la svolta autoritaria di Erdogan. Un regime autoritario porterà più disordini e instabilità. Una cosa negativa per la gente della regione, che mina i nostri sforzi per sconfiggere l’Isis. Spero che i leader occidentali vorranno usare tutto il loro peso per fermare la violenza di Erdogan contro il popolo curdo e insistere per un ritorno al negoziato. È chiaro che la “questione curda” non può essere risolta militarmente. Prima Erdogan riprenderà i negoziati, meglio sarà per la società turca e per il mondo intero».