Marta Bonafoni

L’altra metà della foto

I detenuti ungheresi che con le loro divise grigie tutte uguali vengono de/portati a completare il muro di Orban. Costretti così ad espiare la loro pena – loro che sono ristretti e senza libertà – infliggendo la medesima pena a quegli altri uomini vestiti a casaccio che gli sfilano davanti. Attoniti nello sguardo gli uni e gli altri.

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Il poliziotto turco che non riesce neppure a guardarlo il faccino di Alan, e per questo gira la testa di lato, verso destra, fragile mentre lo porta in braccio. Lui che in rappresentanza di uno Stato intero deve pattugliare le spiagge del Mediterraneo e garantire sicurezza. E invece quel corpo fra quelle braccia in divisa sembra pesare quanto una montagna e non più una manciata di chili.

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Le famiglie tedesche, madri padri figli nonni tutti, che quasi hanno sorrisi più larghi degli stessi migranti mentre donano loro cibo, vestiti, giocattoli, o anche soltanto un passaggio in macchina che li porti un po’ più in là lungo il chilometraggio della loro esistenza.

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Ecco. Nel mezzo di questo esodo di vite che sta facendo la storia, sono sempre più convinta che è guardando l’altra metà della foto che possiamo davvero renderci conto del fatto che il dramma dei rifugiati non sta soltanto parlando a noi.

Parla di noi.

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