Marta Bonafoni

Il mondo non è una minaccia

Sarebbe imperdonabile sottovalutare le pericolose correnti d’aria stantìa che attraversano l’Europa. Il nostro è un continente dove la globalizzazione, invece di esaltare la sua capacità di rendere accessibile il mondo, ha mostrato la faccia più brutale, quella della guerra agli ultimi. Nel nostro piccolo, con questo progetto, vogliamo dare un segnale per ricostruire una connessione tra le competenze locali e quelle globali, tra la storia individuale e quella di comunità. Massimiliano Smeriglio racconta Torno Subito.

Pare che ai giovani piaccia di nuovo nascondersi. Lo dicono in molti, anche tra i signori cui sarebbe ancora delegato lo studio “scientifico” dei fenomeni delle società umana. Valanghe di indagini li inseguono, i ricercatori si appostano per saggiarne gli umori, intercettarne i bisogni, coglierne le esitazioni. Niente da fare. I giovani del nuovo millennio nascondono le proprie tendenze, o invece, più semplicemente, sfuggono alle classificazioni. Esattamente come hanno fatto quelli del millennio passato.

Porteranno avanti la storia, dice con affabile solennità papa Francesco, lui sì che ne sa una più del diavolo. Ça va sans dire, ma saranno capaci di spingere un tale fardello? Sembrano così indifferenti, omologati, senza ideali, senza valori, senza spina… Oppure invece no. È vero il contrario, i giovani non sono affatto come li dipingono certe sociologie d’antan, sono soltanto giovani, più leggeri. La leggerezza è meravigliosa e da certi commenti acidi traspare solo l’invidia di chi li scrive.

In Italia un ragazzo su due non lavora. E in un paese senza lavoro, commenta mesta la Repubblica, i giovani sono senza speranza. John Elkann, presidente della Fiat, non è affatto d’accordo: le opportunità esistono, sono i giovani a non volerle cogliere. È che stanno bene a casa loro, dice parlando agli studenti di Sondrio. Studenti molto pazienti, evidentemente. Disperati, incupiti, vinti, lavativi. Non resterebbe che la fuga, invece i giovani non fuggono, come decretano anche le autorevoli Bussoledi Ilvo Diamanti. E se proprio volessimo dire che fuggono (tutto è relativo nelle indagini statistiche), allora fuggono anche in Francia, Germania e Gran Bretagna. Quindi non fuggono, si spostano, si muovono.

Non dovrebbe stupire nessuno che è in primo luogo mettendosi in movimento che si ha qualche possibilità di inseguire i propri sogni. Checché ne pensi Ezio Mauro, non si può essere affatto certi che sia la mancanza di un qualsiasi lavoro salariato a uccidere la fiducia nel futuro di chi dovrà “portare avanti la storia”. Se non altro perché sembra più attendibile quell’aforisma, attribuito a Bob Dylan, secondo il quale esser giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro.

Bisogna muoversi, dunque. Con intelligenza, fantasia e un buon ritmo, ma soprattutto in autonomia. “L’autonomia per noi è il centro. Sono i ragazzi che ci devono fornire un progetto di 12 mesi. Devono decidere dove vogliono andare e come muoversi. È la loro vita che si affaccia. Questa è la volta in cui la vita non viene programmata da altri”. È Torno Subito, un progetto che intende far “viaggiare il futuro e assegna borse di studio (o di lavoro) e indennità per il re-impiego delle competenze nel Lazio”. Per comprenderne più a fondo la portata (qui la scheda tecnica), abbiamo rivolto qualche domanda a Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione e convinto ispiratore dell’autonomia di cui sopra.

Nel presentare Torno Subito ricordate spesso che, in un quadro di notevole libertà e autonomia, la sola condizione vincolante posta ai progetti è quella di tornare. È una condizione ovviamente indispensabile all’inserimento lavorativo ma non è che serve anche a rispondere a un certo senso comune preoccupato per la cosiddetta fuga di cervelli?

No, assolutamente. Penso che la fuga di cervelli sia una semplificazione mediatica che non aiuta nemmeno a capire bene di cosa si parla. Credo, spero di non aver mai usato quella espressione e, se proprio dovesse esser capitato, non ho alcuna difficoltà a dire che si tratta di una definizione sbagliata, poco felice per diversi motivi. In primo luogo, per quel che riguarda un punto di vista concettuale: se c’è un aspetto positivo nella globalizzazione, è certamente quello di aver reso più accessibile il mondo. Poi, mi pare utile precisare che molti di quelli che al momento della partenza vengono definiti “cervelli” quando arrivano diventano “braccia”. Basta andare a Londra, dove è piuttosto facile vedere persone ad alta qualificazione provenienti dal Bangladesh, dall’India e anche dall’Italia che finiscono per essere impiegate nella grande distribuzione.
La fuga di cervelli, per quel che mi riguarda, è davvero un falso mito, una preoccupazione un po’ nazionalista e fuorviante. Semmai, invertendo l’ordine del ragionamento, si potrebbe sottolineare il fatto che Torno Subito offre l’opportunità di partecipare a chiunque risieda in questa regione da almeno sei mesi. Voglio dire che se c’è un problema, non è solo di chi va ma riguarda anche chi arriva. Sono le competenze che fanno un territorio. Torno Subito non trascura i ragazzi che vengono qui da lontano e si preoccupa del fatto che possano avere un’altra occasione. Credo che l’apertura del bando anche agli studenti migranti possa fare sufficiente chiarezza su quale sia l’angolazione con la quale affrontiamo questa vicenda.

Ok, molto chiaro. Andiamo un po’ più a fondo: ci aiuti a precisare l’intenzionalità e la valenza politica di questa idea progettuale?

Penso che Torno Subito possa essere una grande opportunità. Starà a noi riuscire a farla funzionare al meglio e metterci tutte le risorse che serviranno a soddisfare la domanda. È un progetto dove ci sono tante cose, a cominciare dal reddito, che a mio avviso hanno anche un significato politico. Forse però il punto di partenza è semplicemente l’idea di stimolare la curiosità, cioè il fatto di non vivere il mondo come una minaccia. La torsione nazionalista, populista e plebea che sta avvenendo in Europa è molto preoccupante. Sarebbe sciocco e imperdonabile sottovalutarla. È così anche perché la globalizzazione ha finora mostrato, nella gran parte dei casi, la sua faccia più brutale, quella della guerra economica agli ultimi. Non possiamo risolvere noi un problema così gigantesco ma, nel nostro piccolo, proviamo a ricostruire una connessione tra le competenze locali e quelle globali e tra la storia individuale e la storia di una comunità.

Molto interessante. Un progetto semplice per un’idea molto ambiziosa, dunque?

Secondo me è l’indirizzo giusto per ridare significato anche all’idea del governo locale, un governo che prova a cambiare veramente le cose senza costruire falsi miti né feticci. Altre Regioni fanno progetti con cui si propongono di favorire il ritorno dei “cervelli”, a me pare che così si colga solo un aspetto elitario e una dimensione individuale della questione. È ovvio che anche noi, man mano che avanzeremo, riscontreremo problemi, difficoltà, imprevisti. Siamo solo all’inizio di un percorso che io spero possa essere abbastanza lungo. Credo però che l’approccio, la filosofia di fondo che c’è dietro questo progetto semplice possa funzionare proprio perché è in grado di rimettere al centro un protagonismo individuale dentro un contesto collettivo. Tocchiamo un tema impegnativo, sì. Uno dei problemi più seri nelle storie delle idee di sinistra è che hanno azzerato sia la comunità che l’individuo.

Lavoro, reddito, cittadinanza. Lo scorso anno ci avevi detto di voler usare la formazione anche come leva per cominciare ad affrontare la grande questione del reddito. Questa è la prima delle fiches messe in gioco, quella che dà il segno di un certo approccio?

Abbiamo appena festeggiato un anno di attività dall’insediamento della giunta. Credo che la cosa bella sia proprio il fatto di poterlo festeggiare, di poter dire che in dodici mesi abbiamo fatto delle cose. Oltre a un lavoro sul debito, che è importante comunque perché altrimenti non campi, possiamo dire di aver fatto una legge sull’acqua pubblica, dentro lo spirito referendario, che oggi è la più avanzata che ci sia in Italia. Poi ci sono la legge sul femminicidio, l’assegnazione delle terre pubbliche ai giovani che vogliono avvicinarsi all’agricoltura, la delibera sull’emergenza abitativa. Non sto adesso a fare l’elenco, ma possiamo parlare di un pacchetto di cose che va nella direzione della re-distribuzione delle risorse, delle opportunità, delle occasioni e dei diritti. Se ci fai caso, il tema centrale è che questo approccio non è sostenuto da un grande impianto organizzativo dei partiti, che esistono poco e male.
Si regge sulla volontà di alcune persone determinate a porre al centro una distribuzione diversa delle risorse e delle opportunità. La stessa cosa vale per Torno Subito e varrà per altre iniziative, come ad esempio un progetto che presenteremo già in questa primavera e che ha la stessa filosofia di fondo di Torno Subito ma parla a un target diverso, ai cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or Training), cioè ai ragazzi a bassa scolarizzazione. Torno Subito è un progetto che si può definire di “alta formazione”, naturalmente ci siamo posti il problema che esistono un sacco di persone che magari un titolo di studio non ce l’hanno e hanno pieno diritto a un intervento che offra anche a loro almeno un’opportunità.

Chi sono questi ragazzi?

Hanno tra i 14 e i 25 anni e forse hanno smesso perfino di cercare occasioni, prospettive. Ricevo parecchie di queste sollecitazioni e non so cosa rispondere. Mi spiego: saprei cosa rispondere sul piano personale ma non è la stessa cosa farlo da amministratore. Vedi, nella costruzione collettiva dell’Italia repubblicana la formazione e lo studio sono sempre stati visti come occasioni di ascesa sociale. Li vedevano così il contadino, l’operaio, i miei nonni, mio padre. Tutti investivano nella formazione perché sicuramente con la formazione da qualche parte poi saresti arrivato. Bene, questo meccanismo s’è rotto da tempo…

E questo non lo puoi dire da amministratore?

Quello che posso dire solo come persona è che io, per esempio, ho deciso di abbandonare una facoltà universitaria come giurisprudenza, una facoltà più strutturata, per darmi alle lettere. Ero ben cosciente che quella fosse una laurea “debole” ma sapevo anche che bisogna stare in sintonia con la propria anima. A volte questa armonia può determinare persino la possibilità di vivere o di sopravvivere. Se dico questo come amministratore, però, può anche sembrare che voglio buttarla in filosofia…E non mi pare giusto, come amministratore devo darmi da fare per costruire delle occasioni, delle possibilità. In questo paese c’è già un eccesso di semplificazioni, di populismi spicci. Noi non vogliamo certo unirci a quel coro. La cifra di questa nostra amministrazione è quella di un cambiamento concreto, tangibile, non urlato né raccontato a vanvera.

Cercate di tenere un profilo anti-retorico?

Sì, anti-retorico per definizione. Io ci tengo molto all’anti-retorica. La spiegava molto bene un film di Daniele Luchetti sulla Resistenza di un gruppo di ragazzi in Veneto. Si chiama “I piccoli maestri”, ed è tratto da un romanzo di Luigi Meneghello. C’è una vera lezione sull’anti-retorica, l’anti-eroismo, la responsabilità individuale.

Torniamo ancora sul reddito.

Il reddito è parte di quel ragionamento sulla re-distribuzione. È chiaro che il tema va affrontato a livello del governo nazionale, ma mi pare che questo governo non abbia alcuna intenzione di affrontarlo. Noi facciamo la nostra parte, non ci limitiamo a dire che ci vorrebbe il reddito di cittadinanza. Invece di mettere risorse su altre cose, scegliamo di investirle in modo consistente sul rapporto diretto tra amministrazione e cittadini. In questo modo, bypassiamo, facciamo a meno di una serie di scatole burocratiche dove spesso in passato le risorse si sono perse in mille rivoli. Solo così possiamo avere la certezza di poter dire che alla fine diecimila ragazzi potranno godere dei benefici di Torno Subito sapendo di non fare vane promesse. Nel progetto per i Neet, se diremo che potranno usufruirne in quattromila, poi quattromila devono essere. Il rapporto diretto, senza appalti a strutture para-sindacali o d’impresa, ci permette anche di monitorare meglio quello che accade. Nel raggiungere questi obiettivi mi sentirei piuttosto soddisfatto del lavoro svolto.

Apriamo una breve finestra sulla politica nazionale: il governo farà cambiamenti epocali sul lavoro e il welfare? Anche nell’area moderata di opinione e rappresentanza del terzo settore comincia a distinguersi un tifo acceso per Renzi. C’è un entusiasmo “a prescindere”…

Direi che le prime scelte del governo sul lavoro mi paiono piuttosto impressionanti. Purtroppo anche quello del nostro amico Poletti, come ministro con una lunga storia di cooperatore, non mi pare un buon esordio. Il job acts resta una terribile dichiarazione d’intenti. Renzi punta alla completa liquidazione di tutti i corpi intermedi. Non parla mai al parlamento o ai giornalisti, parla al pubblico. In questa maniera azzera ogni criterio di rappresentanza. È evidente che di cose da dire, anche molto negative, sui corpi intermedi della rappresentanza politica, oppure sindacale, ce ne sarebbero e molte, però nella prospettiva del segretario del Pd non c’è alcuna alternativa di società.
Si propone solo l’azzeramento di ogni forma di organizzazione collettiva. Spaventa non solo ma soprattutto l’impianto culturale che propone, per esempio la cancellazione di ogni contrattazione. Perché se dici che un contratto a tempo determinato lo puoi ripetere per otto volte e che non c’è bisogno di alcuna causale per giustificarne la scadenza (già questa, come sappiamo, era una finzione), stai dicendo che questo è quel che bisogna fare, magari per i prossimi vent’anni. Stai dicendo, insomma, che questa è la sola modalità di accesso al mondo del lavoro per i pochi fortunati che avranno la possibilità di avere un contratto.

Hai notato sorprese nelle reazioni alle sue affermazioni?

Queste affermazioni devastanti vengono accolte generalmente da scroscianti applausi. Mi è capitato di discutere anche pubblicamente con amici e compagni del partito democratico, anche persone stimate e stimabili. Beh, sono rimasto davvero colpito dalla velocità di ri-collocazione nel quadro politico e perfino dal cambiamento del lessico. Magari erano persone con le quali avevo avuto accese discussioni sulle critiche che io avanzavo alla forma partito o ai ritardi del sindacato. Ecco, adesso improvvisamente ti dicono che fa tutto schifo, che bisogna buttare via tutto. C’è una quota di trasformismo davvero eccessiva. Non la imputo a qualcuno in particolare, mi pare che purtroppo sia abbastanza diffusa.
Ecco, se mi chiedessi di citare due tra i segni più inquietanti che accompagnano il governo di Renzi, direi l’attesa messianica di un uomo del destino e un tasso di trasformismo e opportunismo che risulta davvero esagerato. Di cose irritanti di questo tipo, in questi anni ne abbiamo viste parecchie, per carità, ma ti assicuro che sono rimasto piuttosto impressionato. Anche perché questo modo di fare non dà neanche la libertà e la capacità di leggere i processi: vieni chiamato ad affidarti completamente all’uomo comunicazione, all’uomo del marketing, dietro il quale si riassemblano in fila tutti i poteri. Il mio giudizio è molto negativo soprattutto sui processi di fondo che sta muovendo Renzi.
Non so dire quanto durerà il governo ma temo che l’impronta che ha imposto Renzi possa durare ben oltre il governo stesso. Sta costruendo aspettative che parlano direttamente alla tragica situazione che viviamo in questo paese. Se non riuscirà a portare avanti il suo disegno, dirà che la colpa è della Cgil, della Confindustria, dei partiti, delle istituzioni, del parlamento, e magari lavorerà a un governo bis con questa potenza di fuoco alle spalle.

Meglio tornare ai ragazzi di Torno Subito. In quali ambiti ti piacerebbe si formassero, di cosa pensi ci sia più bisogno?

Mi piacerebbe che seguissero esclusivamente le loro passioni. Penso che in questo paese ci sia bisogno di una forte iniezione di creatività, al limite perfino un po’ irrazionale. Non ho mai creduto, e a maggior ragione non credo adesso, che esistano degli ambiti più forti verso i quali sia utile orientare le energie. È la formazione che deve adeguarsi alle volontà e alle proposte che ci arrivano. Lo dico spesso: il mercato del lavoro non è più in grado di indicare nulla se non la propria sussistenza. Nella ricerca, nella formazione e nella conoscenza, forse invece puoi trovare anche degli sviluppi di società e di nuova economia.
Magari a uno piace fare il musicista e, con questa nostra iniziativa, avrà la possibilità di andare in Venezuela e vedere delle bande di quartiere che gli possono dare un’idea, una suggestione. Non necessariamente per fare la stessa cosa ma per fare una cosa a cui non avrebbe pensato senza vivere l’esperienza che Torno Subito gli ha consentito. Mi piacerebbe, però, che nei progetti l’intreccio tra vocazione individuale e ricostruzione di comunità fosse molto forte. La vera cosa che mi piacerebbe è questa, per il resto che vadano dove li portano la testa, il cuore, la pancia…

Ecco, si può proporre di andare per un periodo in Belgio o in Canada con la Procter & Gamble come scegliere una fabbrica recuperata in Argentina o Brasile. Non avete pensato di favorire certi luoghi piuttosto che altri, oppure scelte etiche, ambientaliste, socialmente responsabili?

Beh, in primo luogo bisogna dire che i luoghi possono influenzare le scelte successive solo fino a un certo punto. Pensa che nell’ultimo viaggio che ho fatto in Argentina, proprio per guardare da vicino le imprese recuperate, con noi c’era anche Giuliano Poletti. Non mi pare che da ministro mostri grande interesse per l’impresa senza padroni. Ma, al di là delle battute, credo che già de-strutturando molto noi apriamo la sfera della libertà individuale. E poi non è detto che le belle cose da sperimentare o da imparare abbiano sempre bisogno di strutture definite nella forma. C’è una sostanza delle cose che passa anche per canali non sempre riconoscibili.
Se vai nella Silicon Valley, magari non trovi la fabbrica recuparata o l’impresa autogestita in cooperativa, però potresti scoprire una comunità di programmatori che pratica uno stile di vita altrettanto interessante, innovativo, radicale. Ci sarà, comunque, il passaggio più complesso che riguarda il ritorno. Nell’andare l’offerta è il mondo, le esperienze devono essere libere, e speriamo straordinarie, credo sia giusto così. Il ritorno avviene invece in un territorio determinato, conformato in un certo modo e con certe difficoltà. Lì credo sia opportuno fare qualche passo in avanti, per esempio sulla responsabilità sociale dell’impresa piuttosto che nelle forme organizzative o nel rapporto tra ciò che si produce e la sostenibilità. È una questione che dobbiamo ancora affrontare ma penso che sia nelle corde dello spirito del progetto una scelta ragionevole e qualificata.
Perché tutta questa ricchezza deve evitare di finire in un imbuto precostituito. Dobbiamo essere bravi a sollecitare, creare, costruire le condizioni per un esito positivo. Parleremo con tutti. Con le università, con i centri di ricerca, con le imprese, con il mondo della cooperazione, che oggi sembra molto ripiegato su se stesso. Sarà un lavoro faticoso ma sono convinto che se arriverà un’ondata di ritorno positiva, metterà comunque in moto dei processi, genererà delle domande. Non è detto, naturalmente, che tutti vogliano ascoltare quelle domande ma spero ci sia almeno una parte della nostra società pronta a recepirle.

Marco Calabria e Riccardo Troisi
Comune-info

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