Marta Bonafoni

Se questo è un uomo

È stato testimone oculare della protesta delle bocche cucite a Ponte Galeria e si è impegnato attivamente per cercare una soluzione. Grazie a una richiesta di sospensiva, oggi è fuori dal Cie, con la speranza di tornare ad essere un uomo libero. Il 28 marzo, Lassad, cittadino tunisino da 22 anni in Italia, è intervenuto a un convegno che si teneva presso Palazzo della Giunta Regionale del Lazio (si trattava di un incontro organizzato per presentare la mozione della consigliera regionale Marta Bonafoni in cui si chiede la chiusura di Ponte Galeria e l’attivazione, nel frattempo, di un monitoraggio sul centro) e ha raccontato cosa significa trovarsi un quei “manicomi a cielo aperto” che sono i Cie. Ecco cosa ha detto.

«Vivo in Italia da 22 anni. Gran parte della mia storia è qui. Me ne sono capitate tante e tanti sbagli li ho fatti, ma li ho pagati. Poi mi capita che stavo rientrando con le buste della spesa, mi fermano degli agenti, mi chiedono i documenti e mi portano al volo a Ponte Galeria, in quel posto che chiamate Cie. Mi sveglio la mattina, faceva freddo, era dicembre e mi ritrovo 13 uomini che si erano cuciti la bocca per protestare. Ecco, una storia così ti segna l’anima, non te la togli di dosso. Ti accorgi di essere in una specie di lager, un lager che esiste perché ogni vita ha un prezzo. Quello che viene dato a chi ci tiene dentro. Mi pare siano 41 euro. La nostra vita costa 41 euro, cosa è 41 euro, il valore in borsa, il numero delle scarpe, è calcolato in base al nostro peso, allo spazio che occupiamo?

 

Non lo so. Ditemelo perché io non trovo le parole per capirlo. Un prezzo per le nostre sofferenze, voi che siete entrati dentro avete visto in prima persona il prodotto che è valutato in base a un prezzo. Io no, non mi stupisco di niente, mi sembra di vivere negli anni Quaranta per quello che mi hanno raccontato e per quello che ho letto. Sento un vento gelido di destra che soffia forte e da ogni parte.
Che vi devo dire? Il mondo è bello fuori, basta non calpestare i diritti di chi ti sta vicino. Io mi sento una specie di pesce fuori dall’acqua. Non ho più un paese, non sono né di qua né di là, quale dovrebbe essere la mia casa. E come non ricordare quelle scene, quelle urla, io restavo con la bocca aperta. Queste cose sapevo che succedevano 70 anni fa. E penso alla Storia. È fatta per essere messa nei libri o per essere ricordata, bisogna battere un colpo verso il mondo.

Oggi ero alla fermata della metro di Rebibbia, vicino il carcere, c’erano manifesti molto belli con persone che scavalcavano un muro e una scritta, “Liberi tutti”. Sante parole. Eppure sento dire tante cavolate, sento dire che è stata abolita la schiavitù ma credo che grandi come Lincoln si rivolterebbero nella tomba. Quanti secoli ancora dobbiamo aspettare per non dare più un prezzo ad una vita umana cari miei? Dio crea le persone e le persone vengono vendute e comperate, sono quotate sul mercato. Chi lo avrebbe mai detto che ci saremmo ridotti così.

Oggi sono fortunato, sono seduto al posto del Presidente della Regione, ho conosciuto tanta brava gente, ciò che fate voi dà un senso alla mia e alla vostra vita. Altrimenti siamo tutti inutili, finiamo in un mondo meschino, è per gente come voi che riesco a dormire la notte. Voi siete persone che stanno rimpiazzando Fanon. Lo sapete cosa diceva? Diceva che nel mondo esiste chi è pro e chi è contro, e la causa principale si chiama razzismo.

Forse non sono ancora tempi per il fascismo ma dobbiamo stare attenti, non mi sbaglio perché dobbiamo far capire che la diversità è una risorsa e dobbiamo saperla sfruttare e ascoltare, non marchiarla. La diffidenza è la madre di tutte le cazzate. Scusatemi se parlo in maniera così confusa, ma così posso dire tutto quello che ho dentro. Io sono fuggito tante volte per vivere, Ponte Galeria, Trapani, Regina Coeli e poi ancora Trapani. Ho camminato per 80 chilometri lungo la ferrovia per andarmene lontano da lì. Poi mi hanno ripreso a Roma e non ci ho capito più nulla.

Il tempo non passava mai, dovevo tenere la testa allenata e ho cominciato a contare. La gabbia in cui stavamo ha 206 sbarre, giri intorno al perimetro e le luci ti fanno perdere la ragione, di notte non distingui i colori, tutto ti sembra grigio. E io contavo: la lunghezza della gabbia è di 18 passi e mezzo, la larghezza di 8 passi e mezzo, il corridoio è di 128 passi. Non vi basta? Di notte speravo che spegnessero le luci per poter vedere le stelle, io le distinguo, cercavo di vedere l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore invece di guardare le telecamere che stanno dappertutto. Mi dicono che il Cie non è un carcere e ci chiamano ospiti. Ma io ero solo un fottuto numero con cui mi chiamavano ogni giorno, sono questi gli ospiti? Ma perché non me lo hanno tatuato addosso il numero invece di dire parole finte sul trattenimento, invece di parlare di valori che esistono solo sulla carta e che ci scivolano addosso. Non posso pensarci, stavo camminando tranquillamente per strada e mi sono ritrovato in un manicomio a cielo aperto.

Io debbo molto anche ai giornalisti, alcuni sono anche qui presenti. Ho saputo che nel 2011 il ministro dell’Interno aveva fatto una circolare per impedirvi di entrare, come mai? Non voleva farvi vedere quello che ho vissuto io? Quello che hanno vissuto gli altri? Di solito se un funzionario dello Stato compie un errore così grande si va a vedere se ne ha fatti altri, con questo Ministro è avvenuto? Credo di no, perché altrimenti avreste potuto aggiustare le leggi, cambiarle, riempirle di valori. Ma noi siamo solo gli oggetti, le merci per un business, di mezzo c’è l’economia che secondo me è corrotta.

Sembra che in Italia a troppi convenga restare così, ma ancora si può evitare di cadere nell’abisso, si possono impedire altre disgrazie. Trovate un rimedio, trovatelo voi, troviamolo insieme, non è colpa mia se da tunisino sono nato nella parte sbagliata del Mediterraneo.
Si è capito che i Cie non funzionano, lo ha detto bene il dottore che ha parlato prima di me (Alberto Barbieri, di Medu Ndr), ha parlato di ingiustizie e di soldi sprecati, di una istituzione che non serve. Se non lo capiscono gli altri o non lo accettano non va bene. Si continuerà a produrre sofferenza per tutti, per chi è dentro, per i parenti di chi è dentro, molti hanno mogli e figli in Italia, per tutti quelli che temono ogni giorno di essere presi e rinchiusi per nulla, senza aver fatto niente di male.

La vita di quelli come me è una continua roulette russa da cui non possiamo uscire. Dateci una possibilità di vivere regolarmente, di lavorare, di darvi una mano a far crescere questo Paese. Un giorno ci ringrazierete. Ma oggi, e voglio concludere, mi avete dato una speranza, se farete un monitoraggio continuo nel centro, ne potrete aiutare tanti a Ponte Galeria e scoprirete tante cose che non vanno. Scoprirete anche che ad esempio, può sembrare una cosa da niente, ma lì non c’è uno psichiatra mentre la gente impazzisce. C’è in carcere, a volte c’è in caserma, perché in un posto dove si sta tanto male non ce ne è uno?»

Lassad
Corriere delle migrazioni

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