Marta Bonafoni

Cari sessisti, ci insultate e ci accusate ma avete solo paura

È sempre colpa nostra. Davvero incredibile il masochismo femminile. Un maschietto di quart’ordine lancia un insulto becero ad un gruppo di donne che lavorano nel complicato mondo della politica e sotto accusa, con un abracadabra dell’inconscio collettivo, finiscono le femministe di “Se non ora quando”, ree di aver costruito una gigantesca manifestazione contro un altro maschietto ineducabile che, incurante delle responsabilità della sua alta carica, collezionava favorite come un sultano, impegnava il suo tempo in orgette e barzellette, sdoganando pericolosamente quella bassa meccanica mentale del maschio-massa secondo cui le donne sono “tutte puttane meno mia sorella”, e quindi vincono quelle che la danno via facile, zitte “bone” e disponibili e più giovani sono meglio è, perciò minorenni è il massimo.

Complimenti, c’è di che essere fiere di noi. Il deputato Massimo De Rosa dice a un gruppo di sue colleghe che hanno conquistato la prestigiosa carica in virtù di una loro felice propensione ad eccellere nel sesso orale, e la colpa è della Guzzanti che ha detto alla Carfagna eccetera eccetera eccetera.

Nemmeno mia madre, una vera regina dell’autolesionismo, riusciva a farsi del male con questa abilità sopraffina. E dire che le donne della sua generazione con l’autosvalutazione ci andavano a nozze.
Proviamo, noi che siamo venute dopo, a razionalizzare. E partiamo, rispettosamente, da Mara Carfagna.

La sua sfolgorante bellezza le ha certamente aperto le porte del cuore dell’allora Presidente del Consiglio. Lui ne ha fatto talmente poco mistero che la sua signora dell’epoca, Veronica, si è pure scocciata su La Repubblica, con un seguito micidiale di ampio e circostanziato dibattito. La bella ministra, poi, si è tagliata i capelli, si è comprata un stock di tailleur e si è messa a lavorare. Tutto è bene quel che finisce bene.

Resta il fatto che bellezza compiacenza e accettazione del ruolo (di funzione del desiderio maschile) ancora, purtroppo, sono elementi tristemente determinanti nella promozione sociale femminile.
Se una donna è giovane e bella (e di belle ce n’è sempre di più), anche se ha tre lauree e un talento strepitoso, anche se studia e si impegna e fatica come un mulo, viene comunque sfiorata, almeno una volta, dalla battuta: “e con chi è andata letto questa per arrivare dove è arrivata?”.
Automatismi del maschio meno progredito (e ce n’è ancora parecchi). Subcultura desolante. D’accordo. Ma è così. E lo sappiamo tutti.

Perciò chi è giovane e brutta, o non più giovane e così così, rischia di restare al palo. Non parte. Non partecipa alla gara. O partecipa con un handicap. Chi, al contrario, è in possesso dei requisiti giusti per concorrere al ruolo di pupa del capo, anche se è un genio, viene inchiodata alla croce della sue misure… Parliamo delle bambole. Fino alla metà del secolo scorso erano bebè, le bambine le cullavano, le sgridavano, le imboccavano e il modello era essere mamme.

Nel 1959 nasce Barbie. Ha uno stacco di coscia da soubrette, i capelli lunghi e biondi, le tettine, gli occhioni, il bikini. La bambine la vestono la svestono la pettinano. Poi comprano la casa il pony la spider la sala da ballo… il modello è essere belle.
Ci finiamo dentro tutte, da quelle che erano bambine in quegli anni, come me, a quelle che erano bambine ieri o adesso. Sculetta sculetta qualcosa accadrà.

È triste la battuta con cui Massimo De Rosa ha offeso le deputate, è deprimente. Ma non stupisce.
Il sessismo, come il razzismo, è un’etichetta, una coperta stretta. Come il razzismo, il sessismo è molto più radicato e profondo di quanto non si creda. Se la tirano addosso, l’accusa di sessismo, i contendenti politici, in nome di una correttezza formale, di una politesse istituzionale, che non morde veramente nel cuore del problema.

Il cuore del problema è che le donne non sono ancora persone, non lo sono fino in fondo, non hanno accesso, nel mistero dei precordi, del prerazionale, dell’indicibile, allo stesso rispetto di cui sono oggetto gli uomini. Sempre seconde, sempre cooptate, mai soggetto, mai protagoniste, mai padrone del gioco. Sempre di servizio. Sempre scelte o scartate, in base ai mutevoli umori del momento, scansate o invitate nel club maschile, che regge i destini del mondo. È questo che è davvero grave.

La non equipollenza, la tragedia della disparità. E, se salgono davvero in alto, come l’onorevole Boldrini, le donne finiscono travolte dal terrore animale che molti uomini provano, di fronte a chi, oltre al potere di generare, conquista anche quello di parlare, decidere, comandare.

Lidia Ravera, Huffington Post

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