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13 Feb, 2017

Sessismo, nessuno è immune dalle discriminazioni di genere

Monica Lanfranco, Il Fatto Quotidiano
12 febbraio 2017

La sottovalutazione e il disconoscimento degli effetti e dei pericoli culturali, sociali, simbolici e pratici del sessismo non si trova solo in ambienti aggressivi e totalmente privi di minimi requisiti democratici che eleggono, per esempio, il quotidiano Libero come loro megafono. Penso che questo sia il dato più rilevante sul quale ragionare, volendo trovare il lato utile dell’ignobile e ripetitiva trovata del quotidiano con il titolo sulla sindaca Raggi

Benissimo che Maria De Filippi da Sanremo sanzioni chi, invece che ascoltare cosa ha da dire una donna, si concentri sul suo abito, ma non si può dimenticare che per oltre due decenni Mediaset, imitata presto anche dalla Rai, ha veicolato trasmissioni, (ben analizzate nel Corpo delle donne) dalle quali due generazioni di giovani hanno attinto modelli relazionali e identitari. Una catastrofe educativa passata inosservata e sottostimata.

Il martellamento continuo attraverso la tv prima, e i social poi, ha normalizzato il linguaggio sessista, impreziosito dalla definizione di trash che ne ammanta una qualche dignità subculturale, fino a giustificarne l’uso: parlare così, quindi pensare così ti rende parte del gruppo dominante, ti rende una persona moderna, diretta, smart, cool. Il sessismo attraverso la lingua penetra così tanto nel subconscio fino a scomparire come violenza, aggressione, umiliazione, disumanizzazione, quale invece è.

Un breve racconto. Durante una recente formazione per un gruppo di attivisti di sinistra, tra cui molti giovani, propongo la visione del video Parole d’amore, perfetta escalation che evidenzia il sessismo collettivo inconscio veicolato in frasi di uso quotidiano. L’impatto è forte: ogni volta che lo mostro c’è chi ammette quanto l’insulto e il disprezzo che si subisce, (e spesso senza accorgersene si veicola), sia diffuso e ormai invisibilizzato dalla routine, a scuola, nei luoghi di lavoro, per strada. Un ragazzo però, sostiene che una di queste frasi non si possa più ritenere offensiva, perché, pur inizialmente rivolta alle donne, oggi è adoperata anche tra maschi.

La frase è: “hai le tue cose?” Prima considerazione: una frase sessista smette di esserlo se il bersaglio cambia? Se si vuole evidenziare un atteggiamento scorretto, perché invece di dire “sei nervosa?“, che è il contenuto sotteso, si sceglie di parlare delle mestruazioni? Qui la faccenda si fa interessante. L’attivista sostiene che molte donne (lui dice la maggioranza, e cita anche la scienza) subiscono squilibri rilevanti durante il ciclo, che incidono sull’umore e quindi sul comportamento.

Faccio presente che le donne in Italia prima della metà degli anni ’60 non avevano accesso in magistratura anche a causa del pregiudizio legato alla fisiologia (nel ciclo si verifica uno squilibrio che mina la capacità di valutazione in tribunale, si diceva): questa risulta una notizia nuova per quasi tutta l’aula.

Quando invito a trovare una frase analoga rivolta agli uomini vengono fuori situazioni in cui manca la centralità del corpo maschile: si potrebbe dire, per canzonare il nervosismo maschile, “non ne hai presa ieri sera“. Faccio notare che anche in questo caso, pur alludendo al nervosismo causato dalla mancata soddisfazione sessuale, si sta rovesciando sull’altra la responsabilità. Insomma: con grande fatica si arriva a definire che (forse) una frase di peso quasi simile a hai le tue cose? potrebbe essere “non ti è venuto duro“?

A ben guardare, però, tranne che nei casi gravi e pervasivi, la mancata erezione è un incidente che non invalida la qualità di giudizio e l’affidabilità degli uomini, mentre l’inattendibilità e l’irresponsabilità delle donne, mestruate tutta la vita dai 13 ai 55 anni circa, diventa uno stigma per un intero genere anche grazie a quella semplice frase. Non ci trovavamo in un circolo di lettori del quotidiano di Feltri, ma in un luogo dove si fa politica esattamente contro le visioni del mondo enunciate dalle sue pagine. A riprova che nulla e nessuno è immune dalla misoginia quotidiana, perché essa è così radicata dentro di noi da doverla continuamente disvelare, riconoscere ed espellere non solo dalle nostre parole, ma soprattutto dalla nostra mente e dal nostro modo di ragionare.

10 Feb, 2017

Pisapia e il Campo Progressista

“Oggi Pisapia sul Corriere della Sera lancia Campo Progressista.
Una forza nuova, perché realmente collettiva.
Che non parla al ceto politico, ma lascia parola: alle associazioni, al territorio, ai sindacati, alle tante energie sparpagliate. A sinistra.
Che non punta a mettere un dito nell’occhio del vicino, ma pensa a quello che può fare partendo da se.
Con rispetto per tutti”.
Corriere della Sera, Aldo Cazzullo

Pisapia, ci siamo?
«Sì. Come avrebbe detto qualcuno: scendo in campo di nuovo. Ieri a Milano, oggi in Italia».

Fonda l’ennesimo partito?
«No: ce ne sono già troppi. Mi metto al servizio di un impegno politico collettivo. Il protagonista non sono io. Sono loro: le associazioni che lavorano sul territorio, le amministrazioni locali, il volontariato laico e cattolico».

Avranno pure bisogno di un nome.
«Campo progressista. Un progetto del tutto nuovo, che nasce con una grandissima ambizione: offrire altro, rivoluzionare la politica, cambiarla nel profondo. Vogliamo unire storie e percorsi diversi e costruire una casa comune, per riunire chi vuole fare qualcosa per la società e non trova il modo».

Diranno che fa la stampella di Renzi e del Pd.
«Non ho mai fatto la stampella di nessuno, e a Renzi ho sempre detto quello che pensavo. Ho il mio lavoro, non ho ambizioni personali. Nel 1998 mi dimisi da presidente della commissione Giustizia della Camera dopo la caduta di Prodi. Più volte ho rifiutato di fare il ministro. Ho fatto un passo indietro dopo la vittoria storica di Milano, dove da vent’anni governava la destra, e dopo cinque anni di governo unitario, con la massima radicalità sui valori e il massimo pragmatismo».

Perché ora ci ripensa?
«Quest’estate ho girato l’Italia e sono andato a incontrare le tante persone che mi avevano scritto. Sono stato nelle grandi città e in paesi che non sapevo esistessero. Ho scoperto che esiste un mondo ricchissimo. Mi fermavo a fare benzina, e nel tempo di fare il pieno e prendere un caffè arrivava il sindaco per parlarmi del suo Comune. A Roma mi dicevano: “Venga qui a fare il sindaco…”. Ho incontrato persone straordinarie».

Chi?
«Enzo Bianchi mi ha detto: “Lei si butti se viene chiamato”. E mi hanno chiamato in tanti. Non ceto politico; persone alla ricerca di una speranza. Studenti e professori italiani a Londra e a Coventry mi hanno invitato a presentare il progetto. Ricercatori all’estero come Giacomo Pirovano mi hanno assicurato che sono pronti a tornare in Italia per impegnarsi. Associazioni culturali, ambientalisti, volontari di Merate, Biella, Monopoli, Lecce… La questione dei giovani è la nostra priorità. Come diceva Vittorio Foa: “Pensare oltre che a se stessi, agli altri; oltre che al presente, al futuro”».

Chi c’è nel suo pantheon, oltre a Foa?
«Don Milani. Avevo 17 anni quando partii sulla 500 di un amico per andare a Barbiana a conoscerlo. Stava già molto male. I suoi mi regalarono la Lettera a una professoressa e L’obbedienza non è più una virtù: li tengo sempre qui, sul leggìo sopra il tavolo di casa. E poi i leader storici che il campo progressista ha espresso nelle varie epoche, da Berlinguer a Obama».

Più modestamente, con Bertinotti ha parlato?
«Ho sempre avuto stima per la sua onestà intellettuale, ma non lo sento da quando eravamo alla Camera».

E la Boldrini?
«Siamo in ottimi rapporti. Saremo insieme a Milano a un incontro sulla buona politica, il giorno di san Valentino».

Quali sono i prossimi passi?
«Faremo iniziative in diverse città, anche con sindaci e amministratori di piccoli e grandi Comuni. L’11 marzo faremo il primo grande incontro nazionale, a Roma. Poi apriremo le Officine per il programma».

E Sel? Vendola?
«Sel si è divisa e si è sciolta. Il mio amico Nichi pensa che non sia più possibile costruire un centrosinistra con un Pd geneticamente modificato, scambiando Renzi con il popolo del Pd. Io la penso diversamente. Rispetto la sua posizione; chiedo rispetto per la mia».

Crede davvero che ci sia spazio per una forza di sinistra alleata con il Pd?
«La prospettiva è più ambiziosa: spostare il Partito democratico a sinistra. Per necessità numerica, il Pd è stato costretto a governare con forze che non erano né di sinistra né civiche. È il momento di andare oltre».

Mai con Alfano?
«Noi vogliamo essere l’embrione del nuovo centrosinistra; non possiamo stare con un partito di centrodestra. Rispetto Alfano, ma dai diritti civili alle politiche per i giovani siamo diversi».

Non crede che un elettore di sinistra deluso da Renzi voti più facilmente per Grillo che per lei?
«A Milano i grillini sono attorno al 10%. In tanti mi hanno chiesto come sono riuscito a non farli emergere. Il modo è fare le cose positive di cui i grillini parlano».

L’onestà?
«Quello è un presupposto. Intendo trasparenza, legalità; mettere a disposizione di tutti i beni comuni. Questo a Milano l’abbiamo fatto. La demagogia e il populismo si contrastano così. Anche con il coraggio di dire che non sei d’accordo, anziché dare sempre ragione a chi urla. Ora siamo a un bivio: o riusciamo a fare una coalizione che dia risposte ragionevoli alla questione sociale; oppure lasciamo il Paese a Grillo e alla destra».

Oggi nessuna coalizione avrebbe i numeri per governare. Campo progressista quanto può valere?
«Non lo so. Ma penso che l’alleanza tra il Pd, noi, le liste civiche, gli ecologisti possa arrivare al 40%. Certo, dipenderà se la legge elettorale consentirà le coalizioni. Siamo una forza autonoma; non possiamo certo entrare in una lista con il Pd».

Lei è ottimista. Molti elettori, anche milanesi, sono arrabbiati e indignati con i politici e i loro privilegi.
«Li capisco. Sono da sempre convinto che lo stile di vita sia importante. Per questo con i miei assessori ci muovevamo in autobus, a piedi, in bicicletta. Anche di notte andavo con la mia auto privata in periferia o nelle parrocchie dove mi invitavano; per gli impegni istituzionali avevo un’auto ibrida vecchia di 15 anni».

E adesso?
«Vado a piedi e uso il car sharing. Sono imbarazzato a chiamare un taxi perché spesso mi tocca discutere con il tassista che non vuole farmi pagare».

Cosa pensa del suo successore Sala?
«È diverso da me. È un manager. Ma sui punti principali segue la nostra esperienza. Molti assessori sono stati riconfermati. I progetti sono quelli. L’alleanza di centrosinistra è ampia e legata al civismo».

E di Renzi?
«Ha lati positivi: coraggio e, all’inizio, capacità innovativa. Ha portato a termine riforme ferme da decenni, a cominciare dalle unioni civili; ma ha anche sbagliato sul referendum e su altre riforme che si sono trasformate in controriforme, ad esempio sul Jobs Act. Dovrebbe ascoltare di più. E non ha capito che i corpi intermedi sono importanti; a cominciare dai sindacati».

La Cgil era per il No. Lei non si è pentito di aver votato Sì?
«Non mi sono pentito. Anche i miei amici mi dicono: “Chi te l’ha fatto fare? Appoggiando il No avresti avuto una prateria a sinistra”. Ma preferisco essere coerente con la mia coscienza. Per me non era un voto su Renzi; era un giudizio su una riforma che non condividevo appieno, ma portava cose positive. Sul Titolo V: abbiamo una sanità del tutto diversa da una Regione all’altra. E sull’obbligo per il Parlamento di esaminare le leggi di iniziativa popolare: come la proposta della Cgil per limitare i voucher al lavoro occasionale».

Con D’Alema vi parlerete?
«Io parlo con tutti. Ma quello che mi interessa è recuperare i milioni di voti persi tra gli elettori di centrosinistra. E far appassionare i giovani a una nuova politica».

Ci sarà la scissione?
«Non me la auguro; ma certo non dipende da me. L’importante è che il Pd capisca di non essere autosufficiente. Occorre una svolta che guardi a sinistra. Una forte discontinuità, rispetto a una stagione in cui i democratici erano costretti ad accordi con Alfano e anche con Berlusconi».

Guardi che già si parla di alleanza con Berlusconi nella prossima legislatura.
«Per me sarebbe impossibile appoggiare un governo di larghe intese».

Quando si dovrebbe votare secondo lei?
«Sarebbe bene portare a termine le riforme già avviate: ius soli, reddito di inclusione, norme per non far fallire le società confiscate alla mafia, limiti ai voucher. Se mancasse la volontà, meglio andare a votare. In ogni caso i tempi saranno lunghi, perché serve una nuova legge elettorale».

Quale?
«L’importante è che sia omogenea tra Camera e Senato, e consenta ai cittadini di scegliere i loro rappresentanti. Anche con le preferenze»

09 Feb, 2017

E ora il fronte anti-Donald trova una leader

Federico Rampini, La Repubblica

Nella partita del Primo Emendamento sulla libertà di espressione, mettere il bavaglio a un membro del Senato non è facile nè banale. Ci è riuscita la maggioranza repubblicana con un gesto di rara prepotenza.
La vittima dell’inusuale censura: Elizabeth Warren, senatrice del Massachussetts eletta nel collegio che fu di Ted Kennedy. La sua colpa: opporsi fino all’ultimo alla conferma di Jeff Sessions, reazionario e razzista dell’Alabama, che Donald Trump ha scelto come ministro della Giustizia.
Il pretesto per zittirla: Warren stava leggendo in aula un discorso pronunciato dalla vedova di Martin Luthr King, Coretta, contro lo stesso Sessions.

08 Feb, 2017

Pestato e violentato dagli agenti. Ma Thèo: “Stop alla guerra”

Stefano Montefiori, Corriere della Sera

Sdraiato sul letto d’ospedale, sotto gli occhi del presidente della Repubblica Francois Hollande che è venuto a fargli visita, Thèo, 22 anni, maglietta dell’Inter come pigiama, si rivolge alle telecamere e ai suoi concittadini: “Ringrazio il presidente che è venuto in ospedale da me. So quello che sta succedendo in questo momento, anche se non seguo troppo le notizie perché non ho voglia di sprofondarci dentro. Sapete che amo la città, e mi piacerebbe ritrovarla come prima, per favore. Stop alla guerra, restiamo uniti. Ho fiducia nella giustizia, e giustizia sarà fatta”.

07 Feb, 2017

“No al bullismo. Io non ho più paura”

Piero Bosio, Radio Popolare

“Mi chiamo Flavia, ho 18 anni e sono al quinto anno del liceo delle scienze umane”. Inizia così il racconto, la riflessione di Flavia Rizza, che è stata in passato vittima prima del bullismo, poi del cyberbullismo. Una ragazza che ha sofferto, ma che si è ribellata e ha vinto la sua battaglia. Ed è anche diventata un’importante testimonial.

E’ lei stessa a raccontarlo in una lettera a Skuola.net, in cui ripercorre quello che ha subìto e come lo ha affrontato: “Vado in giro per l’Italia con la Polizia di Stato per raccontare la mia storia di ragazza vittima che ha parlato con qualcuno per farsi aiutare. Non vi dico che sia facile perché direi una bugia, ma se mai iniziate mai arrivate. Il mio consiglio è quello di parlare. Parlate se subite bullismo o cyberbullismo oppure parlate se assistete o siete a conoscenza di questi atti. Io oggi non ho più paura dei miei bulli e sto bene per il semplice fatto di essere unica e irripetibile proprio come ognuno di voi”.

Ma se Flavia ha vinto la sua battaglia, Carolina non ce l’aveva fatta, a conferma di quanto il bullismo sui social possa essere molto pericoloso. A 14 anni, nel gennaio del 2013, si uccise a Novara dopo essere stata vittima, per mesi, di insulti sulla rete. Prima di morire aveva scritto un biglietto con le motivazioni del suo gesto, per far sì che non accadesse più a nessuno.

Per Carolina tutto era iniziato per un ragazzo che, dopo la fine della relazione, aveva cominciato a offenderla crudelmente sui social. Un video, girato con un cellulare, da altri tre giovanissimi, in cui Carolina compariva in atteggiamenti intimi, era stato fatto circolare su whatsapp. Settimane di ingiurie, sberleffi, parole infamanti. Un peso insopportabile per la quattordicenne.

Il papà di Carolina, Paolo Picchio, pochi giorni fa a Genova, durante il convegno “Parlare di sexting a scuola. Un fenomeno da monitorare” si era rivolto ai giovani con parole chiare: “Alle vittime di cyberbullismo dico: parlatene con qualcuno, non isolatevi e recuperate la vostra autostima. Serve informazione per riconoscere il fenomeno perché le vittime sono colpite nella mente e non nel corpo e spesso famiglia e scuola non se ne accorgono”.

Il sexting (sex+texting) è la condivisione attraverso strumenti multimediali di immagini o video a contenuto sessuale, un fenomeno in crescita tra i giovani: un adolescente su quattro lo ha praticato la prima volta in un’età compresa tra gli 11 e i 12 anni.

Il quadro è allarmante. Secondo la Polizia postale almeno due ragazzi su tre sono stati coinvolti direttamente o indirettamente in episodi di cyberbullismo. I ragazzi passano molte ore sui social.

Una ricerca sullo hate speech (incitamento all’odio) in rete realizzata da Skuola.net e l’Università degli Studi di Firenze rivela che il 40 per cento dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni, trascorre online, in media, più di 5 ore al giorno. Whatsapp si conferma il gigante degli scambi social fra gli adolescenti (80,7%), seguito da Facebook (76,8%) e Instagram (62,1%).

BULLISMO FOTO 1 NELL ‘ARTICOLO

Ora un primo importante passo in avanti per contrastare il cyberbullismo è stato fatto, ma non è ancora conclusivo. Il Senato ha votato, a fine gennaio, il disegno di Legge per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo. Ora però deve avere il via libera finale della Camera.

Il testo votato è stato modificato, tornando a quello originario centrato solo sui minori e quindi sulla prevenzione. Tutte le forze politiche hanno votato a favore, tranne Gal che si è astenuto perché – ha detto il senatore Giovanardi – non è stato eliminato il “riferimento alle tematiche di genere per le associazioni che partecipano al tavolo tecnico per la prevenzione del cyberbullismo”.

Il disegno di Legge varato dal Senato prevede sostanzialmente misure di prevenzione e di educazione nelle scuole sia per le vittime, sia per i ‘bulli’.

Tra le novità: la definizione del fenomeno e la possibilità, per il minore (anche senza che il genitore lo sappia) di chiedere direttamente al gestore del sito l’oscuramento o la rimozione della ‘cyber aggressione’. Nel caso in cui il gestore ignori l’allarme, la vittima, stavolta con il genitore informato, potrà rivolgersi al Garante per la Privacy che entro 48 ore dovrà intervenire.

La legge istituisce, tra l’altro, un tavolo interministeriale presso la Presidenza del Consiglio con il compito di coordinare i vari interventi e di mettere a punto un Piano integrato contro il bullismo via web. E stabilisce la ‘procedura di ammonimento’ come nella legge anti-stalking: il bullo, con età superiore ai 14 anni, sarà convocato dal Questore, insieme ai genitori.

Ogni scuola dovrà individuare tra i professori un addetto al contrasto e alla prevenzione del cyberbullismo, che potrà avvalersi della collaborazione delle forze di polizia.

BULLISMO FOTO 2 STOP BULLYNG

L’approvazione della legge al Senato avviene a pochi dalla giornata mondiale per la sicurezza in Rete, istituita dalla Commissione europea, che si tieneil 7 febbraio. Lo slogan è ‘Be the change: unite for a better internet‘ (Siate il cambiamento: uniamoci per un Internet migliore).

L’iniziativa si svolge in contemporanea in oltre 100 nazioni. In concomitanza, quest’anno, si terrà in Italia la prima giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo a scuola dal titolo “Un Nodo Blu – le scuole unite contro il bullismo”. Una giornata promossa dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Piano nazionale contro il bullismo.

***

Grazie a Flavia Rizza per l’utilizzo della sua lettera

03 Feb, 2017

Tesoretti segreti e ricatti che legano il nuovo potere ai vecchi padroni di Roma

Carlo Bonini, La Repubblica

Finisce come in un mesto dèjàvu di una stagione lontana, quella della Milano di mani Pulite. La sindaca Virginia Raggi che, passata mezzanotte, piegata da un interrogatorio fiume per abuso di ufficio e falso ideologico, lascia un ufficio della Direzione Anticrimine della Polizia di Stato dove è entrata con il sole.

31 Gen, 2017

Ha ragione Arturo Scotto “Apriamo anziché chiudere”

Ha ragione Arturo Scotto.

Di fronte a un quadro politico in pieno movimento Rimini deve trasformarsi in un’occasione aperta, per allargare il campo e riorganizzare una sfida.

Questo significa non essere subalterni. Questo vuol dire non rassegnarsi alla pura testimonianza.

Scotto: «Stop alla lotta fra noi. Si va verso il voto, serve la gestione collegiale»
Daniela Preziosi, Il Manifesto

Sinistra italiana/Intervista. Il candidato: quello che succede oggi nel Pd non può lasciarci indifferenti. Cambiamo la ragione sociale del congresso, Trasformiamo l’assise di Rimini in un appuntamento aperto per allargare il campo. Dobbiamo aprire, non chiudere. Non è l’ora delle lacerazioni. Non ho paura di perdere, non c’è un problema di tessere. Ma possiamo dividerci tra di noi su scenari ipotetici e senza capire dove sta precipitando il paese?

 

«Trasformiamo il congresso di Rimini in un grande appuntamento aperto in cui ritrovare il senso di una comunità e in cui rilanciare, allargando il campo, avendo il coraggio di riorganizzare una sfida. Dobbiamo aprire, non chiudere. Alziamo lo sguardo, cerchiamo nuove risposte. Cambiamo la ragione sociale del congresso, facciamone una tappa politica, non la nostra blindatura organizzativa». È l’appello, quasi drammatico, del capogruppo alla Camera di Sinistra italiana, candidato segretario a congresso.

Sta chiedendo di fermare la macchina a una settimana dai congressi locali e a poco più di due dall’assise di Rimini?
No. Sto chiedendo di fermare la conta. Riapriamo una riflessione a tutti i livelli.

Ha paura di perdere?
No. Ho paura che il congresso, se celebrato totalmente fuori sincro dalla fase politica che stiamo vivendo, e cioè dalla precipitazione elettorale che si determina in queste ore, non diventi un nuovo inizio ma anzi sia un fatto del tutto irrilevante. Non è l’ora delle lacerazioni, è l’ora della riflessione e dell’unità. Chiedo a tutti un supplemento di riflessione, non drammatizziamo la nostra discussione tra apocalittici e integrati.

Il suo appello nasce dal segnale di scissione dal Pd che ha dato D’Alema sabato scorso?Siamo oggettivamente di fronte a uno scenario nuovo. L’assemblea dei Frentani e la nascita di una nuova associazione, ConSenso, le prese di posizione del presidente Emiliano, una discussione sempre più esplicita nel Pd, costituiscono un fatto nuovo. E non solo: Renzi ha scelto l’avventura. Bisogna organizzare il campo di un’alternativa credibile alla sua deriva che rischia di consegnare il paese alla saldatura tra Lega e Cinque stelle. Un campo che abbracci i temi sociali sollevati da Laura Boldrini, la discontinuità richiesta finalmente anche da Giuliano Pisapia, la sinistra del Pd che solleva la grande questione della lotta alle diseguaglianze.

Insomma propone l’alleanza con D’Alema? E se il Pd non si spacca e non si va al voto?Sinistra Italiana è nata intorno a un’idea forte: la presa d’atto dell’insufficienza di ciò che c’era, rifondare una forza della sinistra larga, popolare, con una cultura di governo. In grado di tenersi a distanza, allo stesso tempo, dai due vizi cronici degli ultimi vent’anni: la subalternità e la testimonianza. Noi siamo nati sotto questa stella. E abbiamo raccolto intorno a quel progetto, grazie alla generosità di tanti, energie e intelligenze.

Non può portare questi temi a Rimini e prendere atto della scelta dei delegati?
Ma possiamo dividerci tra di noi su scenari ipotetici e senza capire dove sta precipitando il paese? Nel corso degli ultimi mesi ho avvertito il rischio di un ripiegamento, di rassegnarsi all’ennesimo cartello della sinistra radicale, senza alcun peso nella società. Il No ricostruttore per un centrosinistra alternativo al renzismo e alla terza via ha aperto nuovi spazi.

Ma non tutti i suoi compagni considerano il No «ricostruttore» del centrosinistra.
Ma come si fa a non capire che siamo in un passaggio delicato, nel vortice di una transizione? Abbiamo cominciato a scrivere le nostre tesi congressuali con Renzi ancora a Palazzo Chigi, Obama alla Casa Bianca e nel punto di massima tenuta della grande coalizione europea di socialisti e Ppe. In poche settimane abbiamo vinto un referendum, è caduto Renzi, il Pd è alla vigilia di cambiamenti decisivi, Trump è stato eletto e rischia di determinare poco meno che una guerra con la Cina e un disastro nelle relazioni con il mondo arabo.
Nel parlamento europeo socialisti e popolari si spaccano e in Francia nel partito socialista vince Hamon sulle parole d’ordine del reddito e della riduzione dell’orario di lavoro. È cambiato tutto. E noi non proviamo a fare una discussione larga, alta? Oggi, non domani, dobbiamo mettere al centro i temi del lavoro, del reddito, degli investimenti pubblici, della riconversione ecologica, dell’innovazione, di una nuova sinistra che ricostruisce l’ambizione del governo con un programma avanzato, radicale.

Scusi, non è che sta prendendo atto che la sua area avrà meno delegati e quindi rischia di perdere e doversi adeguare a un’altra linea?
Voglio essere chiaro: è l’esatto contrario. Comunque delle tessere parleremo in seguito, se sarà necessario, quando capiremo le decisioni del nostro organismo di garanzia. Oggi vorrei solo dire che tutte le posizioni in campo hanno lavorato per allargare la partecipazione al congresso: è un fatto positivo. Per me la priorità è stata convincere tante e tanti che non ci credevano più. Ora si tratta di garantire la massima partecipazione, a cominciare dai livelli territoriali. Ma il punto per me è: non voglio prendere parte a un talent show e ancora meno avvelenare la discussione interna.

Potrebbe ritirarsi?
La mia candidatura è a disposizione, è uno strumento e non un fine. Propongo che Rimini sia l’occasione per la costruzione di un campo largo dell’alternativa. Per farlo serve una gestione collegiale del gruppo dirigente, non una lotta fratricida. Se invece si negano queste novità lo si dica chiaramente.

30 Gen, 2017

Il mondo isola Trump. Critiche dai leader ma il vero ostacolo sono le imprese

Federico Rampini, La Repubblica

“Il nostro paese ha bisogno di frontiere sicure e controlli drastici. Subito. Guardate cosa succede in tutta l’Europa e nel resto del mondo, un caos orribile!”. Di fronte all’isolamento internazionale – e alle forti proteste interne – Donald Trump twitta la sua reazione. E’ tutt’altro che pentito per il caos provocato dal bando anti-islamici. Tocca ai suoi sottoposti tappare le falle più vistose di un provvedimento improvvisato, come l’inclusione dei titolari di green card. Ma sul senso generale non ha ripensamenti, anzi contrattacca.

18 Mag, 2016

Il referendum e la guerra dei due mondi

Stefano Folli, La Repubblica

Mancano cinque mesi al referendum costituzionale e i toni della campagna elettorale sono già molto acuti. Al punto che vien da domandarsi cosa accadrà in settembre, quando saremo quasi a ridosso del voto.
Di solito gli argomenti più forti e polemici si conservano per il gran finale propagandistico. Stavolta vengono già sparati nell’aria come missili letali.

17 Mag, 2016

Giornata mondiale contro l’omofobia, Arcigay: “In un anno almeno 104 episodi”

Susanna Picone, FanPage

Il report stilato da Arcigay in occasione della Giornata internazionale contro omofobia, transfobia e bifobia che si celebra il 17 maggio in tutto il mondo: “Di omofobia e transfobia in Italia si muore ancora”.

Nel report stilato da Arcigay in occasione della Giornata internazionale contro omofobia, transfobia e bifobia che si celebra oggi, 17 maggio, in tutto il mondo, compaiono 104 episodi di omotransfobia. Il report si basa sul monitoraggio delle fonti giornalistiche e riporta quindi solo avvenimenti registrati in Italia e segnalati sui media nel periodo compreso tra il 17 maggio 2015 a oggi.

Per questo, secondo quanto denuncia l’associazione, il numero degli eventi intercettati rappresenta solo la punta dell’iceberg del fenomeno. Per Gabriele Piazzoni, segretario di Arcigay, in Italia si omofobia e transfobia si muore ancora: “Lo testimoniano i due omicidi e i due suicidi che compaiono nel rapporto, assieme a tutti gli altri sommersi, invisibili. Non solo: le persone lgbt sono socialmente fragili, esposte a pericoli peculiari della loro condizione.
Le persone omosessuali e transessuali sono bersagli privilegiati di rapine, pestaggi, stupri. Inoltre, gay e lesbiche quando non visibili diventano bersagli di ricatti ed estorsioni. E, come le persone trans, sono di frequente fatte oggetto di derisione, di insulti, di limitazioni alle libertà personali, di discriminazioni, di bullismo a scuola, di mobbing sul lavoro”.

Non esiste un identikit dell’omofobo – Secondo l’associazione non è possibile fare un identikit dell’omofobo: “Nel nostro report ci sono omofobi appartenenti alla classe dirigente, politici, funzionari pubblici, commercianti, studenti, padri e madri di famiglia. Sono italiani o stranieri. E soprattutto sono giovani o vecchi. L’omofobia, insomma, non ha età, ruolo sociale, provenienza geografica, estrazione economica o culturale. È ovunque e colpisce le persone lgbt indistintamente, da sole, in coppia o in gruppo, nei luoghi affollati e in quelli isolati, di notte o in pieno sole”, spiega Arcigay. Ciò che chiede l’associazione è sicuramente una legge contro l’omotransfobia ma anche azioni culturali e di welfare per sgretolare il pregiudizio e sostenere le vittime. “Questo è l’auspicio che rinnoviamo in occasione della Giornata Internazionale e che consegniamo alle istituzioni assieme al pensiero per tutte le vittime. Anche per loro dobbiamo trasformare l’Italia in un Paese migliore”, ha detto Piazzoni.

“Ue si impegna in difesa dei diritti” – Intanto, alla vigilia della Giornata mondiale contro l’omofobia, il “forte impegno” dell’Unione europea in difesa della dignità e della parità di tutti gli esseri umani indipendentemente dai loro orientamenti sessuali è stato ribadito dall’Alto rappresentante Federica Mogherini. “L’Ue – ha detto Mogherini – rinnova il suo appello a tutti i governi del mondo per il rispetto dei diritti umani, per respingere l’intolleranza e promuovere la parità di genere. E rende omaggio a tutti coloro – difensori dei diritti umani, giornalisti, attivisti, organizzazioni della società civile – che si battono quotidianamente su questo fronte”.