Top

15 Mar, 2017

Violenza sulle donne, i fumetti del Galilei tra i top del Lazio

Il Messaggero

Alla fine non le resta che il nome dell’ex (Leo) tatuato sul polso e una serie di ferite, alcune delle quali probabilmente difficili da rimarginare. E’ toccante e molto ben concepito il fumetto realizzato in stile manga dalle gemelle cinesi Si e Min Shan e da Mirko Vargiu della V G della sede di Santa Marinella del liceo scientifico “Galilei”.

Talmente toccante e ben fatto che, assieme a un altro fumetto realizzato da Natalia Franceschetti della V B del linguistico di Civitavecchia, finirà in un volume edito dalla Regione Lazio che raccoglie le dieci migliori tavole di un concorso lanciato l’8 marzo scorso e che ha visto la partecipazione di oltre cento ragazzi, sia singoli che gruppi, in qualità di disegnatori e sceneggiatori.

14 Mar, 2017

Tra i camalli di Civitavecchia: “Noi, i palestinesi della sinistra”

Giovanna Vitale, La Repubblica

E’ dura la vita dei camalli, su questo lembo di costa tirrenica al confine con la Toscana. Ore e ore trascorse a 30 metri sotto il livello del mare, rinchiusi nelle stive cariche di carbone diretto alla centrale termoelettrica dell’Enel, a respirare cromo ed esalazioni tossiche pur di portare a casa la paga necessaria a mantenere la famiglia, comprare una macchina, far studiare i figli.

13 Mar, 2017

Un gesto di orrore quotidiano

Alessandro Dal Lago, Il Manifesto

Non sappiamo se il senzatetto di Palermo sia stato bruciato per una ritorsione dopo un alterco o per una vendetta privata o puro e semplice odio verso i marginali. Ma sta di fatto che episodi simili non sono infrequenti. Basta fare una rapida ricerca in rete e balzano agli occhi i delitti contro gli ultimi, senzatetto, immigrati o entrambi, fatti che suscitano un’indignazione di maniera di qualche giorno e poi finiscono nell’oblio.

È successo qualche tempo fa a Conegliano e ancora prima a Nettuno. Nove anni fa, a Rimini, quattro adolescenti bruciarono una panchina in cui dormiva un senzatetto, il quale si salvò per miracolo. Presi, furono condannati a pochi anni di prigione e a risarcire la vittima con alcune decine di migliaia di Euro. Poi, si è saputo che l’avvocatessa del senzatetto, nominata amministratrice delle sue sostanze, gliele ha sottratte per soddisfare il proprio bisogno di lusso, poverina. Ai domiciliari, ha patteggiato due anni con la condizionale. Se si va in rete, si possono leggere i post e i commenti dei suoi amici avvocati. Ma perché arrestarla, è una brava madre, ha due figli piccoli…

Cercare di bruciare un senzatetto o pestarlo a sangue, gettare molotov contro un campo Rom o un dormitorio di migranti, aggredire insomma chi non è considerato uno normale, ma un insetto o un disturbo da eliminare, è tipico di un certo neo-nazismo. Talvolta è una bravata di ragazzi che poi, inevitabilmente, si pentono e piagnucolano sui pochi mesi di prigione che li attendono. Gesti pre-politici, li si potrebbe definire, se non fossero anche effetto di un coro generalizzato contro Rom, profughi, rovistatori di cassonetti, vagabondi, poveracci di ogni provenienza. Se una parte consistente dell’opinione pubblica trasforma queste vittime in responsabili del «degrado», e cioè colpevoli, non c’è da meravigliarsi se i più scalmanati tentino di trasformare le parole in fatti.

Prendete il caso delle donne Rom di Follonica, rinchiuse da due addetti di un supermercato nella gabbia dei rifiuti. Salvini offre solidarietà e sostegno legale ai due responsabili. Era solo uno scherzo, come no. E ora lo scherzo finisce in un corteo di Carnevale. Una donna si maschera da «Rom in gabbia» e un uomo da dipendente del supermercato, dicono le cronache. Commento della sindaca leghista di Cecina: «Maschera di carnevale ieri a Cascina! A me fa ridere!!! A carnevale ogni scherzo vale! Se siete tristi e di sinistra, peggio per voi!».

Ma non è la sola ad avere un singolare senso dell’umorismo. Salta fuori l’avvocato dei due mattacchioni di Follonica e sostiene che nel video non c’è una sola parola di razzismo e che comunque dovrebbe essere ritirato dalla rete perché era destinato a un gruppo chiuso. I due hanno rinchiuso le Rom tra i rifiuti e poi le hanno filmate per far divertire gli amici. Dove sarà mai il reato, dove sarà mai lo scandalo?

L’assassino di Palermo, quali che siano state le sue motivazioni, non si è curato della telecamera di sorveglianza del sito. Può essere stupidità, certo. Ma può anche essere la convinzione che il suo gesto non sia così impopolare. Un paio d’anni fa, ci fu un attentato contro un campo Rom a Padova. Ed ecco uno dei commenti online: «Dopo tante brutte notizie finalmente una notizia che trova il consenso dei lettori».

E così, di scherzo in scherzo, di aggressione in aggressione, di rogo in rogo, l’orrore diventa quotidiano, abituale e quindi accettabile. Significa che una linea è stata tracciata tra il mondo del «noi» e quegli altri che non esistono, non sono esseri umani e quindi si possono irridere, sequestrare e al limite cospargere di benzina.

10 Mar, 2017

“Centrosinistra, serve un Pisapia per ricostruire dalle macerie”

Daniela Preziosi, Il Manifesto

 

O faccio «un centrosinistra vincente o mi arrendo», annuncia l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia alla vigilia del lancio del suo Campo progressista, domani mattina a Roma al Teatro Brancaccio. Dove accoglierà i fuoriuscitidi Sinistra italiana di Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio e braccio destro di Nicola Zingaretti, altro fan della coalizione.

Per Pisapia dopo le scissioni c’è il ritorno all’unità. Vi siete scissi per poi riunirvi? Con il Pd o con le sinistre che avete appena lasciato?

Con chi sarà d’accordo con una nuova agenda sociale. C’è bisogno di discontinuità. Bisogna ridare senso alla parola sinistra. Parto dalla mia esperienza amministrativa, nel Lazio. Il bando per medici non obiettori è una cosa di sinistra che si può fare, e che abbiamo fatto. Abbiamo ampliato il diritto allo studio con il reddito per il cittadino in formazione. Vanno fatte cose di sinistra. Come abolire i voucher, cambiare la buona scuola e il jobs act. O il reddito minimo, di cui in Regione lanciamo una sperimentazione che anche il ministro De Vincenti definisce interessante.

Crede che il premier Gentiloni, così vicino a Renzi, farà qualcuno di questi provvedimenti?

Se mettessero in fila ius soli, testamento biologico e una discussione vera sul reddito minimo, io discuterei con chiunque.

Voi ex Sel eravate all’opposizione. Ora fate gruppo parlamentare con gli ex Pd. Ma la pensate diversamente: sul decreto Minniti, per esempio.

La maggioranza di governo ha gli stessi numeri di prima. Se il governo cambierà priorità i numeri potranno persino crescere. Se invece il futuro del governo dei flussi migratori sono i Cie invece siamo lontanissimi. Il gruppo è fondamentale per partire, ma serve un movimento territoriale capace di richiamare in servizio le migliori esperienze della sinistra che ha abbandonato il campo per stanchezza e delusione. Dobbiamo ripartire dai luoghi della sofferenza sociale. E da quelli dell’innovazione. Il riformismo radicale non è un pranzo di gala e neanche la mozione della nostalgia. In questo nuovo inizio ci sono i padri nobili , come Bersani D’Alema Errani, e sul territorio un gruppo dirigente pronto ad assumersi responsabilità.

In parlamento se non fosse per Forza italia, finireste per mandare a casa il ministro Lotti?

È un passaggio difficile, rispetto le decisioni che il nostro gruppo prenderà. Ma i processi devono svolgersi nei tribunali. Per me un indagato è sempre un presunto innocente. Anche quando si chiama Luca Lotti.

Come sceglierete il vostro leader?

Con processi aperti, democratici, che non hanno paura della partecipazione. Primarie delle idee e delle persone. Comunque una cosa è già certa: le nostre non saranno leadership urlate, ma solide, sobrie, coerenti. Pisapia incarna al meglio questo progetto. La sua Milano è stata quella dell’innovazione, della creatività e della solidarietà. Dopo le macerie a cui ci condurrà una legge elettorale pensata per forze politiche autoreferenziale e che produrrà instabilità, servirà gente capace di ricostruire il Paese. Di questo parleremo domani al Teatro Brancaccio di Roma con Nicola Zingaretti e tanti ricercatori, ambientalisti, attivisti sociali.

A Pisapia guardano anche personalità del Pd come Manconi e Mucchetti, schierate con Orlando. Ma a chi guarda Pisapia? A Renzi?

Ha chiarito di non essere la stampella di Renzi. Lo ha definito «divisivo». Penso che come noi Pisapia guardi al Paese, a ridare speranza e non rancore a chi sta peggio. Dopo gli anni del rigore serio, sono arrivati gli anni del rigore happy days. Ma le politiche e la vita delle persone sono rimaste al palo. Bisogna cambiare l’orchestra, i blocchi sociali e generazionali di riferimento.

Se non vi alleerete con il Pd lo farete con Sinistra italiana?

È stato doloroso essere stati messi fuori da compagni con cui ho militato vent’anni. In ogni caso le modalità congressuali erano quelle dello spettacolo legittimante, inconciliabili con una discussione vera. Hanno scelto la separatezza e una vaga allusione all’autonomia del sociale. Con freddezza hanno deciso di fare a meno di personalità, intelligenze, esperienze territoriali. Buona fortuna.

Perché separatezza? Si sono uniti con Possibile, di Civati. E Vendola ha incontrato D’Alema.

Se Vendola parla con D’Alema fa bene. Per lui nutro affetto e riconoscenza, anche se mi sarei aspettato un atteggiamento da padre nobile. Vederlo indifferente agli abbandoni mi ha fatto male. Ma va bene che voglia aprire un dialogo con noi e D’Alema. Anche se poi dovrebbe contenere la richiesta di autocritica: ognuno pensi alla propria. Chi come noi viene da una lunga stagione politica deve essere prudente nel reinventarsi in panni radicali o nel buttarsi in furori simil 5 stelle.

09 Mar, 2017

“Resto e voto Orlando ma la speranza è Pisapia”

La Repubblica

Luigi Manconi resta nel Pd, si schiera con Andrea Orlando e aderisce al Campo Progressista di Giuliano Pisapia. Il senatore democratico è in sciopero della fame per sostenere l’azione nonviolenza della radicale Rita Bernardini per la riforma penitenziaria.

Perché lo sciopero?
“L’affollamento delle carceri ha ripreso a crescere e i suicidi si sono fatti più frequenti: 12 in due mesi. E questo, nonostante alcune buone cose fatte da Orlando: un’altra ragione per sostenerlo nelle primarie”.

08 Mar, 2017

Un nuovo popolo internazionale guidato dalle donne

Bia Sarasini, Il Manifesto

Oggi, 8 marzo 2017, le donne scioperano, non sono in festa. “Se la mia vita non vale, io non produco” è lo slogan chiave della giornata che invita allo sciopero. Perché non c’è nulla da festeggiare, c’è molto contro cui lottare, molto da cambiare.

Lotto marzo, appunto, come dice l’invenzione felice di NonUnaDiMeno, l’insieme di gruppi, associazioni, femminismi diversi (le sigle originarie sono D.I.R.E, Udi, e coordinamento dei collettivi romani) che dal settembre scorso hanno dato vita al nuovo movimento.

E alla entusiasmante manifestazione del 26 novembre 2016. 200.000 in strada a Roma, un corteo che accoglieva anche tantissimi ragazzi e uomini, la più grande manifestazione di movimento vista in Italia negli ultimi anni. Una scelta vitale, di notevole forza politica, che va oltre differenze e contrapposizioni troppo presenti anche nei femminismi.

È stata la violenza maschile contro le donne, il ripetersi di femminicidi feroci a spingere a unirsi, a lottare insieme. A cercare la strada e la forza per ribaltare un potere che agisce sulle vite singole, fino ad armare la mano di un uomo che non sopporta di essere abbandonato.

È un nuovo rischio, che minaccia le donne proprio perché sono libere. Perché possono e vogliono decidere di sé. Per questo lo sciopero è globale, un movimento internazionale che attacca alla radice il potere. Il potere del neocapitalismo che, lungi dal modernizzarsi, ha assunto il patriarcato come una propria articolazione.

La prima volta era successo in Polonia, il Black Monday del 3 ottobre 2016. Vestite di nero le polacche si sono fermate, per lottare contro la completa abolizione della possibilità di aborto. Se le donne si fermano, si ferma tutto. E con loro gli uomini, che le hanno aiutate, e in parte sostituite.

In Argentina, da dove viene NiUnaDeMenos, è stato un mercoledì nero il 17 ottobre, dopo che Lucia Pèrez, 16 anni, è stata violentata, torturata e uccisa a Mar de Plata. Infine il 21 gennaio 2017, già dopo la proclamazione dello sciopero globale delle donne per l’8 marzo, la Women’s March on Washington. Una mobilitazione imponente, un milione solo negli Usa, due milioni nel mondo. Contro Trump, cioè contro il potere machista, razzista, sessista, classista.

Come ha detto Angela Davis: «Questa è una marcia di donne e questa marcia delle donne rappresenta la promessa del femminismo contro i funesti poteri della violenza di stato. Ed è il femminismo inclusivo e intersezionale che invita tutte noi a unirci alla lotta di resistenza al razzismo e allo sfruttamento capitalistico».

Qui si radica lo sciopero. Globale. Dall’Argentina, che lo ha proclamato per prima, agli Stati Uniti, dalla Svezia al Togo, dalla Turchia all’Italia. Da cosa si sciopera? Si sciopera dal lavoro. Da tutte le forme di lavoro. Questo è punto cruciale, che riguarda tutte. E tutti.

Si sciopera nei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, nei supermercati, negli asili, nelle case, nelle scuole, nelle cucine, nelle strade. Nessuno più delle donne può dire cosa è il lavoro oggi. Il lavoro spezzato, frammentato, svalorizzato. In mille operazioni che dequalificano, immiseriscono anche il lavoro per il quale è richiesta la massima competenza. Quella per la quale si sono accumulati saperi.

La cura, il lavoro che avviene prima di tutto dentro la casa, richiede competenze plurali e delicati, capaci di attenzione gestione, relazione. Da sempre svalorizzato tanto da essere gratuito, quando viene esternalizzato, venduto sul mercato, lì dove avrebbe innalzato il Pil, viene sminuito, reso servizio a bassa densità. Umiliato. Precarizzato. Pagato coi voucher. Come i mille lavori disprezzati, inseguiti e faticosamente messi insieme, ora su ora, giorno su giorno. In un puzzle senza forma, angoscioso e debordante.

Per questo le donne chiedono il reddito di autodeterminazione. Perché la precarietà è insopportabile. E una redistribuzione del reddito necessaria. Un welfare per tutte e tutti, chiedono. Lo sciopero proclamato dalle donne rende visibile il taglio verticale del potere neo-capitalistico. Che si fa forte del patriarcato per dominare la vita. Fin nelle pieghe prima nascoste e ora visibili, in piena luce.

Proprio perché la libertà delle donne ha rotto la divisione tra privato e pubblico, la famiglia non è più quello spazio di potere riservato anche all’ultimo degli uomini, in cui nell’ombra si riproduceva l’esistenza. Lo sciopero, dice il manifesto «per uscire dalle relazioni violente, per resistere al ricatto della precarietà… per avere un salario minimo europeo, perché non siamo disposte ad accettare salari da fame, né che un’altra donne, spesso migrante…sia messa al lavoro in cambio di sotto-salari e assenza di tutele».

E ancora si sciopera «perché vogliamo essere libere di muoverci e restare». Contro le frontiere per le/i migranti, contro il razzismo. E si sciopera per la formazione, per cambiare la cultura che sostiene la violenza.

E soprattutto si sciopera «perché la risposta alla violenza è l’autonomia delle donne». Non sono vittime, le donne che scioperano. Sono donne libere. Con l’invito ad astenersi dal lavoro, obbligano tutti a pensare cosa sia il lavoro. Anche chi ha ritenuto che uno sciopero non può essere politico. E chi lavora si muove solo per difendere i propri diritti. E il diritto a vivere?

La posta in gioco è molto alta. Judith Butler la chiama «alleanza dei corpi». Lo abbiamo visto nelle strade, in diversi continenti, in questi mesi. In quelle foto dall’alto, straripanti. Questo è in campo oggi, otto marzo 2017. La potenza di corpi alleati tra loro, che non si nascondono, che si mostrano, non irreggimentati in discipline e totalizzazioni. Che partono da sé, perché solo questo sé corpo-mente hanno a disposizione. E non vogliono cederlo.

Sono tempi in cui si ragiona e si discute di popolo, e di populismi. Si costruisce un nuovo popolo. Ricco di differenze, pieno di speranze di trasformazione. Guidato dalle donne.

07 Mar, 2017

Le voci di notte che raccontano l’Italia migliore

Delia Vaccarello, L’Unità

Arrivo di sera. Per forza. La diretta di RadioImpegno inizia a mezzanotte. la mia smart sembra ancora più minuscola mentre costeggia il lungo serpentone di Corviale alto nove piani. Vado piano, scivoliamo sotto uno dei due tronconi lungo mille metri dell’edificio che non si sa se è follia o sperimentazione. Cerco la sede di Calciosociale.

06 Mar, 2017

Donne italiane, l’illusione della parità. “La famiglia sulle loro spalle”

Cristina Nadotti, La Repubblica

Anche lo stereotipo che le donne passano davanti allo specchio più tempo degli uomini è caduto, le cifre sono sempre più chiare: le italiane lavorano di più, sono pagate meno e il peso degli impegni familiari è soprattutto sulle loro spalle, soltanto nelle ore dedicate alla cura personale il divario è colmato. Due studi elaborati dal Censis e dall’Ocse confermano che il nostro Paese resta fanalino di coda in Europa nel superare le differenze di genere.

Sulla base dei dati Istat, il Censis ha stabilito che in una giornata, calcolata sulla media di una settimana, uomini e donne tra i 25 e i 64 anni dedicano alla cura personale il 46 per cento del loro tempo ( la differenza è di 0,2 punti percentuali e nelle 11 ore circa è compreso il riposo notturno).

04 Mar, 2017

“Sgomberare non serve, per loro il ghetto significa lavoro”

Gianmario Leone, Il Manifesto

“Purtroppo quanto accaduto ieri notte è soltanto l’ultimo episodio: i morti nei ghetti del foggiano sono già 4 negli ultimi mesi e sono una triste routine che si è consolidata nel corso degli anni. Solo in Puglia, tra grandi e piccoli, se ne contano oramai una trentina”.

A parlare è Leonardo Palmisano, etnografo, docente di Sociologia Urbana al Politecnico di Bari ed autore del saggio «Ghetto Italia», scritto a quattro mani con Yvan Sagnet, con il quale hanno vinto il prestigioso premio Livatino 2016. Un lungo viaggio nei ghetti italiani, dal Piemonte alla Puglia, per denunciare come i braccianti immigrati in Italia siano sempre più spesso vittime di un caporalato feroce, che li rinchiude in veri e propri «ghetti a pagamento», in cui tutto ha un prezzo e niente è dato per scontato, nemmeno un medico in caso di bisogno.