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26 Agosto 2021- di Marina de Ghantuz Cubbe

Per una donna in fuga dalla violenza domestica è ancora difficile trovare un rifugio per sé e per i suoi figli. In base alla Convenzione di Istanbul a Roma i posti letto dovrebbero essere circa 300 (uno ogni 10mila abitanti), un numero ben lontano dalla realtà. Secondo il Comune sono 60, secondo le operatrici che lavorano nel settore non si arriva a 40. L’acquisizione da parte della Regione Lazio della Casa delle donne Lucha y Siesta si inserisce in questo contesto perché nell’ex deposito dell’Atac, occupato nel 2008, un gruppo di attiviste ha creato 14 posti letto che fino ad oggi hanno ospitato 170 donne e 80 minori. Più di 2.000 sono state accolte e accompagnate nel percorso di uscita dalla violenza tramite gli sportelli di ascolto. Ora che la Regione ha vinto l’asta (l’immobile era finito nel concordato preventivo di Atac ed era stato messo in vendita), inizia una seconda vita per la Casa in via Lucio Sestio, nel VII municipio.

«Puntiamo a farla diventare un bene comune della città – spiegano le attiviste – stiamo lavorando a Lucha 2.0 da tempo con il comitato cittadino. Ora si apre una fase di trattativa con la Regione Lazio, noi pensiamo che l’assegnazione debba avvenire in base ai principi e ai valori che qui dentro sono stati portati avanti». Sul futuro di questo spazio ragiona la consigliera Marta Bonafoni della lista civica Zingaretti che due anni fa ha chiesto e ottenuto che la Regione si impegnasse ad acquistare l’immobile mettendo a bilancio 2,4 milioni di euro. L’idea è di andare verso una cogestione dello spazio da parte non solo delle attiviste ma di tutta la comunità che si è creata intorno a questa esperienza, superando la politica dei bandi. «A partire dalle attività che già vengono svolte all’interno della Casa, insieme alle operatrici dobbiamo trovare il modo per mettere a sistema il modello che hanno costruito negli anni perché quello è uno spazio aperto e vissuto dalla cittadinanza – spiega Bonafoni – Gli strumenti che utilizzeremo sono la legge sui beni comuni e quella sulle cooperative di comunità, la coprogettazione e il riconoscimento dei luoghi delle donne». […]

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